Urbanistica

Gli architetti: si parte dall'obiettivo di costruire comunità per creare spazi condivisi

Dai modelli replicabili di Space&Matter al focus sulle periferie di Renzo Piano

di Alexis Paparo

Se la progettazione architettonica può essere un agente di cambiamento nei processi di contrasto alla dinamica climatica, Il Sole 24 Ore ha chiesto a due studi che hanno fatto della rigenerazione urbana la loro firma quali possono essere gli strumenti per accelerarla. Lo studio olandese Space&Matter viene fondato nel 2009 da Sascha Glasl, Tjeerd Haccou e Marthijn Pool con l'obiettivo di offrire risposte capaci di rendere le città più interconnesse, sostenibili, resilienti ai cambiamenti climatici e sociali. Una di queste, spiega Pool, è il «quartiere in una scatola. Un pacchetto progettuale flessibile e implementabile ovunque, che siamo pronti a condividere in modalità open source. Attivabile con un minimo di 50 famiglie, comprende smart grid, geotermico o acquatermico, tetto e pareti verticali verdi, spazi condivisi». Un altro progetto che sovverte lo status quo è un modello di condominio dove il punto di partenza è la costruzione della comunità che lo andrà ad abitare, attraverso la piattaforma Crowdbulding.nl.

«Quando si costituisce una rete di persone disposte a vivere insieme, si può iniziare a parlare di condivisione degli spazi di lavoro e di socialità, dell'energia, addirittura della mobilità, riducendo le dimensioni delle aree private, allargando quelle comuni e abbassando i costi», commenta Pool. Oggi Space&Matter punta a realizzare edifici che producono il 120% dell'energia necessaria al loro funzionamento, con un 20% che viene ceduta alle costruzioni circostanti che ne hanno necessità. È interessante la formula legata all'ex cantiere navale De Ceuvel Volharding di Amsterdam, un'area contaminata e inutilizzata da 20 anni, di cui Space&Matter ha ottenuto i permessi di utilizzo. Pool spiega che «agli occhi di un investitore tradizionale non era interessante, perché i costi di bonifica sarebbero stati altissimi, noi abbiamo avviato un processo di fitorisanamento e realizzato strutture temporanee convertendo case galleggianti, posizionate fuoriterra, in studi creativi». Edoardo Narne, professore in Composizione architettonica all'Università di Padova, è il coordinatore nazionale di G124, il gruppo di lavoro di Renzo Piano sulle periferie, finanziato dal suo compenso come senatore a vita. «Fa impressione guardare le periferie dall'alto e rendersi conto di quanto siano state asfaltate, senza rispetto per spazi vuoti come parchi o piazze.

G124 si occupa di queste aree: realizzandole da zero oppure risistemando l'esistente, e contestualmente costruendo progetti di affezione, coinvolgendo abitanti, gruppi, associazioni. Si tratta di un rammendo anche psicologico, di costruire l'orgoglio di abitare un luogo fino a ieri denigrato, che può diventare avanguardia». Secondo Narne le periferie sono un laboratorio perfetto non solo perché sono state costruite male, in fretta e spesso come risultato di una speculazione, ma perché sono punto d'incontro e di convivenza di varie etnie. Qui è necessario inserire o recuperare fattori che favoriscano la contaminazione e la pacificazione, come l'elemento naturale. «Fra i salotti urbani firmati G124 più riusciti, quello nel quartiere la Guizza di Padova: gli alberi sono stati acquistati tramite crowdfunding e 167 volontari del quartiere hanno partecipato alla costruzione degli arredi del parco», spiega Narne. I progetti del 2023 si concentrano sull'idea di piazza. «È il nostro orgoglio, ma è un modello che andrà a soffrire nel futuro perché la piazza italiana non ha verde, è inadatta a temperature in continuo rialzo. Penso alle piazze di Gibellina, costruite su modello rinascimentale, assolate e sempre deserte. Il nostro piano è rimuovere dove possibile le pavimentazioni, smantellare il cemento che scherma il terreno e piantumare. Serve spostare l'attenzione sulle zona d'ombra, come stiamo facendo a Rovigo e a Bari».

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