Amministratori

Gli affidamenti sprint peggiorano i servizi locali

Il taglio delle durate chiesto dalla riforma riduce investimenti e visione

di Stefano Pozzoli

Una delle indicazioni più insidiose del Council Implementation Decision, il documento con gli impegni assunti nel Pnrr dallo Stato italiano, è quella sulla riduzione della durata media dei contratti di affidamento in house.

Anche se è ribadita la necessità di garantire l’equilibrio economico-finanziario delle operazioni, la scelta lascia perplessi. È comprensibile che chi si occupa di tutela della concorrenza sia preoccupato dalla lunghezza dei contratti, visto che ciò riduce le occasioni di mercato; resta però il fatto che le conseguenze sul servizio non possono che essere rilevanti.

Gli effetti degli affidamenti di breve durata, anche di quelli stipulati mediante procedura competitiva, sono sotto gli occhi di tutti: nessun investimento, pochissima lungimiranza nelle scelte gestionali e sostanziale gracilità delle società, dato che un contratto a breve fornisce poche prospettive anche in termini di bancabilità. Prospettare come obiettivo la diminuzione degli anni di affidamenti dunque non convince.

Il decreto di riordino dei servizi pubblici locali comunque esegue quanto previsto nella delega, individuando, per i servizi non a rete, una durata ordinaria di 5 anni. Il limite riguarda i soli servizi pubblici locali e non interviene sugli strumentali.

L’articolo 19, comma 1 del decreto inizia con un’affermazione di principio, ovvero che «la durata dell’affidamento è fissata dall’ente locale e dagli altri enti competenti in funzione della prestazione richiesta, in misura proporzionata all’entità e alla durata degli investimenti proposti dall’affidatario e comunque in misura non superiore al periodo necessario ad ammortizzare gli investimenti previsti in sede di affidamento e indicati nel contratto di servizio». Prosegue, però, spiegando che «nel caso di affidamento a società in house di servizi pubblici locali non a rete, la durata dello stesso non può essere superiore a cinque anni, fatta salva la possibilità per l’ente affidante di dare conto, nella deliberazione di affidamento di cui all’articolo 17, comma 2, delle ragioni che giustificano una durata superiore al fine di assicurare l’ammortamento degli investimenti, secondo quanto asseverato nel piano economico-finanziario di cui all'articolo 17, comma 4». Una sorta di inversione di onere della prova, necessitata dunque dalla durata ultra-quinquennale di un contratto.

Se è chiaro il riferimento alla deliberazione in base all'articolo 17, comma 2, quella con cui si procede ad affidare il servizio, non altrettanto si può dire di quanto al comma 4, che riguarda i soli servizi a rete, ovvero proprio quelli che non sono interessati alla prevista "eccezione". Infatti, il comma prevede che «Per i servizi pubblici locali a rete, alla deliberazione di cui al comma 2 è allegato un piano economico-finanziario… da aggiornare ogni triennio. Tale piano deve essere asseverato».

L'intento della norma è ovviamente quello di richiedere, per il tramite di un piano, la dimostrazione della necessità di un periodo di ammortamento più lungo. E, aggiungiamo, non si comprende perché, non si sia previsto un piano anche per i servizi non a rete, come era già disposto dall'articolo 34, comma 20 del Dl 179/2012.

Ora, però, in ragione di questo evidente refuso, non si capisce più se il piano, in caso di deroga al limite dei 5 anni, debba comunque essere asseverato o meno. E sarebbe anche da chiarire, anche per i servizi a rete, se sia necessario asseverare anche gli aggiornamenti del piano stesso.

Capita, ovviamente, nel vorticoso procedere degli eventi normativi, commettere degli errori. L'importante è intervenire, correggendo appena possibile la disposizione, così da evitare dubbi e costi eccessivi.

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