Il CommentoPersonale

La Pa non è più un bancomat, quindi ora si può riformare

di Sergio Talamo

In quel triangolo del terrore che fu il triennio 2008-2011, la Pubblica amministrazione italiana visse la sua stagione più incoerente. Il ministro per la Pa Renato Brunetta lanciava una riforma molto ambiziosa imperniata su trasparenza, performance, customer satisfaction, servizio al cittadino con il contact center Linea Amica, premialità non più a pioggia ma basata su «fasce di merito».

Dal ministero dell’Economia si tirava il freno dalla parte opposta, nel disperato tentativo di fermare la crisi del debito. Il risultato fu un programma di tagli lineari che avviò la triste stagione della «Pa-bancomat». A farne le spese furono il reclutamento (con il blocco del turn over), gli stipendi e il sostegno al merito (con il blocco della contrattazione), la formazione e la comunicazione. Ne è derivata un’amministrazione indebolita e invecchiata che – dati ForumPa – ha visto un calo secco di dipendenti, un’età media di circa 53 anni se si escludono le forze dell’ordine, una quota di under 30 del 4,2% (il 16,3% ha più di 60 anni), e una spesa annua per la formazione di 48 euro a dipendente. Non c’è da stupirsi se questa Pa nell’ultimo decennio ha ingoiato le sue stesse riforme: performance, trasparenza e open government, unite ai vari switch off digitali, hanno prodotto pochi cambiamenti reali e percepiti dal cittadino.

La pandemia ha cambiato le cose in modo radicale, per una semplice ragione: il «whatever it takes» del presidente Bce Mario Draghi, che prima del 2020 teneva a galla l’euro, nel 2022 è ormai una politica condivisa di debito comune, finalizzata alla ripresa e alla crescita. «Soldi in cambio di riforme», così definisce il Pnrr Brunetta, aggiungendo che «il 70% del successo del Piano dipende dalla riforma della Pa». I cardini del nuovo progetto - in ballo 11,5 miliardi - sono non per caso proprio quei percorsi interrotti nel 2008-2011: reclutamento-ringiovanimento, con i concorsi velocizzati dal digitale e il portale InPa realizzato con Linkedin; il piano di formazione da due miliardi, che come partner ha il sistema universitario; il rilancio dei contratti pubblici, legati anche ai percorsi formativi; la customer satisfaction, che è fra gli asset del progetto Linea Amica Digitale; infine, le semplificazioni, anch'esse innestate sulla svolta digitale: l'articolo 38 del Dl Semplificazioni recita che «la transizione al digitale della Pa garantisce lo sviluppo di servizi veloci ed efficaci. Tutte le comunicazioni tra Pa e cittadini e imprese dovranno essere fatte con strumenti digitali».

Intanto, anche il panorama civico è incoraggiante. Ecco alcuni numeri: nel 2021 erano attivati 27,4 milioni di Spid (570 milioni di accessi) e 22 milioni di Carte di identità elettroniche, mentre 24,5 milioni di utenti sono sull'app IO e sono stati 33,7 miliardi i pagamenti tramite PagoPA (182 milioni di transazioni registrate, +80% risetto al 2020). E l'Anagrafe Digitale che consente di ottenere 15 certificati con un "clic", è stata completata. Manca all'appello solo la comunicazione, fondamentale trait d'union fra istituzioni e cittadini e fattore di coesione sociale e di costante feedback sui servizi. I cittadini - dati dell'Osservatorio sulla comunicazione digitale Piepoli-PAsocial – gradiscono molto, 8 su 10, notizie via social e servizi on line. La «legge 151», come è chiamata la riforma della 150/2000 in cantiere, adegua anche le strutture comunicative alla nuova stagione, dove lo Stato italiano dovrà decidere se rimanere un «Palazzo» di stampo pasoliniano o diventare la «casa di vetro» di Turati, che grazie alle tecnologie rende effettiva la cittadinanza.