Fisco e contabilità

Investimenti senza sconti, la Ue chiede correzione fino a 15 miliardi l’anno

Giorgetti: «Chiesta l’uscita dal deficit di green e digitale, prendiamo atto del no»

di Gianni Trovati

Più del dibattito sui criteri del nuovo Patto, in Italia ieri ha fatto rumore una stima elaborata dai tecnici della commissione Ue secondo la quale il risanamento dei nostri conti pubblici chiederà una correzione nell’ordine dei 14-15 miliardi all’anno, lo 0,85% del Pil. La stessa simulazione spiega però che su un orizzonte di sette anni la correzione sarebbe intorno agli 8 miliardi, lo 0,45% del Pil, mentre con le regole attuali la richiesta sarebbe dello 0,6%.

La proiezione, che pure è preliminare perché la novità sostanziale della riforma è data dai piani di risanamento su misura che andranno concordati fra l’Esecutivo comunitario e ogni Stato membro, ha il pregio dell’efficacia nel sintetizzare il possibile impatto del ritorno delle regole fiscali Ue sulla politica economica italiana dopo la lunga parentesi della sospensione emergenziale. Ma a guardar bene non dice nulla di diverso dal Def che sarà votato oggi dalle Camere: e che per l’anno prossimo già prevede sul deficit strutturale una correzione potente con un taglio appunto dello 0,8% del Pil.

Il programma di finanza pubblica del governo già rispetta anche la «regola della spesa», perché per le uscite primarie finanziate con fondi nazionali indica nel 2024 un aumento dello 0,9%, largamente inferiore alla variazione del Pil nominale e sotto anche alla dinamica del prodotto potenziale. Il problema, però, è che in quelle cifre la legge di bilancio non ci sta, al netto delle coperture extra che si potranno trovare nelle «pieghe dei conti» alimentate dalla prudenza delle stime Rgs.

Oltre che per la manovra, però, con una discesa del debito/Pil dal 144,4% messa a rischio dalla corsa degli interessi non sarà facile trovare lo spazio anche per le azioni più strutturali. Per questo il ministro dell’Economia Giorgetti, che pure giudica la riforma «un passo avanti» per il superamento del set di regole uguali per tutti, ricorda che «avevamo chiesto con forza l’esclusione degli investimenti, inclusi quelli tipici del Pnrr su digitale e green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è».

Il negoziato vero e proprio parte ora. E per l’Italia è in salita anche per il nodo irrisolto del Mes. Ieri, come da prassi alla vigilia di Eurogruppo ed Ecofin in programma venerdì e sabato a Stoccolma, sono tornate a farsi sentire i soliti funzionari Ue che però hanno cambiato tono, e hanno sottolineato che ai vertici sarà chiesto all’Italia che cosa intenda fare sulla ratifica della riforma del Trattato senza la quale «è impossibile discutere di altre misure che potrebbero essere utili». Fonti di Palazzo Chigi hanno ribattuto a stretto giro che «la posizione dell’Italia non cambia» e che «il Mes va trasformato in un veicolo per la crescita». Tanta coerenza isola però l’Italia in un’Unione in cui tutti hanno ratificato il nuovo Mes, e anche nella maggioranza comincia a farsi spazio il riconoscimento che «prima o poi dovremo prendere una decisione», come spiega da Forza Italia Alessandro Cattaneo.

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