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Autonomia, Ddl Calderoli al centro di una disputa politica

di Ettore Jorio

Una trama degna da Alfred Hitchcock. Con Calderoli a fare come il genio inglese del giallo nel senso di essere presente sulla scena, sempre. Con tanti insospettabili che poi diventano colpevoli per fare il contrario di ciò che erano.

Roberto Calderoli è dal 2008 a oggi, impegnato ad attuare quanto deciso nella Costituzione dal centrosinistra l'8 marzo 2001 (governo Amato II) - con 171 voti favorevoli, 3, contrari e 3 astenuti – e dal successivo referendum confermativo andato a buon fine. Una revisione che introdusse gli attuali articoli impegnati a diverso livello, nel Ddl Calderoli, per l'appunto, che sta facendo tanto penare il Paese e Nazione, a causa soprattutto di una becera strumentalizzazione politica che nulla ha a che fare con il tema vero e proprio. Il tutto con contraddizioni che si registrano con gli assunti legislativi propri di ieri e con le iniziative regionali promosse poco tempo fa. A proposito è appena il caso di ricordare i due referendum espletati in Lombardia e in Veneto nel 2017, gli accordi preliminari tra il Governo e le Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna nonché le dichiarate disponibilità a produrre analoga istanza delle quattro Regioni (Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia) che hanno detto no al Ddl Calderoli, nella giornata del 2 marzo scorso, adducendo motivazioni essenzialmente politiche.

É dato dunque constatare oggi, che la revisione di ieri (22 anni fa) è soggetta a una inconcepibile disputa politica (NT+ Enti locali & Edilizia 3 marzo).

Non solo. Viene messa e maltrattata l'ipotesi di poter pervenire a una regolazione attuativa di una autonomia legislativa differenziata nella più assoluta incomprensione. Ciò in quanto la contesa, tutta politica, non tiene affatto conto delle due interessanti iniziative: nel 2019 dell'allora ministro Francesco Boccia; nel primo semestre 2022 dall'omologa Mariastella Gelmini

Due ipotesi fatte proprie dal ministro Calderoli che ha ripetuto di recente la quasi medesima cosa che fece nel 2009 con il Ddl Prodi del 2007. Il modo per dire basta ai 22 e ai 14 anni buttati rispettivamente al vento in materia di: definizione dei Lep; di attuazione del regionalismo differenziato e di determinazione dei costi e fabbisogni standard.

Quanto ai primi (Lep), gli unici a essere stati tempestivamente definiti, con Dpcm 29 novembre 2001, sono stati i Lea (afferenti alla assistenza sociosanitaria), con riconoscimento della idoneità del ricorso al Dpcm dalla sentenza della Corte costituzionale n. 134/2006 (redattore De Siervo).

Il cosiddetto federalismo fiscale ha vissuto una vicenda simile a quella odierna del Ddl Calderoli. Lo stesso, quale attuazione dell'articolo 119 revisionato nel 2001, fu attenzionato dall'allora premier Romano Prodi che, il 3 agosto 2007, approvò in Cdm un Ddl attuativo, messo poi in cantina per due anni a partire dalla sua caduta del maggio 2008. Un testo ripreso poi dal governo Berlusconi IV a iniziativa del sempre attivo Calderoli, che da allora divenne l'Hitchcock ad avere sempre il fotogramma federalista nazionale.

In buona sostanza, egli produsse un Ddl, molto simile a quello di Prodi del 2007, migliorato solo sotto alcuni aspetti, peraltro non essenziali. Tant'è che tale ipotesi divenne legge dello Stato nel 2009, con l'approvazione della legge delega n. 42, assicurata dall'astensione massiccia del PD nel voto finale, che assicurò 188 astensioni a fronte dell'Udc che fu l'unico partito a votare contrario (32), Da lì arrivarono 8 decreti delegati e un Dm, con tre decreti legislativi che incisero (ahinoi) solo teoricamente sulla determinazione dei fabbisogni per gli enti locali (nn. 216/2010 e 23/2011), sul federalismo fiscale e sulla determinazione dei costi e fabbisogni standard per il sociosanitario e la perequazione in generale (n. 68/2011).

A ben vedere, su tutto questo Roberto Calderoli ha partecipato attivamente e comunque vigilato su quanto proponevano i suoi colleghi di centrosinistra Boccia e di centrodestra (Gelmini), in attesa di partire con la sua proposta, quella appena ragionata in Conferenza Unificata.

L'attuale Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie ha lavorato non male, diversificando sei diversi testi prima di arrivare in Cdm e promettendo in sede di Conferenza Unificata di lavorare, in via preliminare, per ulteriori modifiche da valutare con Regioni ed enti locali, prima di riapprodare a una definitiva approvazione del Governo.

Nel frattempo, avrà certamente cura di inserire nel testo una regolazione sul sistema perequativo e certamente assicurare il rispetto dei tempi fissati nella legge di bilancio 2023: un anno (31 dicembre) per la conclusione dei lavori - pena commissariamento da concludersi nei 30 giorni successivi (31 gennaio 2024) di ricognizione delle materie suscettibili di riparto in Lep e determinazione dei costi e fabbisogni standard.

Riusciranno le Regioni a compiere quanto delegato loro entro il prossimo 30 giugno? Questa è la domanda più difficile cui rispondere e, nel contempo la più grande delle preoccupazioni.