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Solo un quinto delle province ha superato il Pil del 2019

Unioncamere-Tagliacarne: Il Sud cresce più del Nord ma Milano è la più ricca

di Giovanna Mancini

Qualche conferma e parecchie sorprese: l’ultima analisi del Centro studi Tagliacarne e Unioncamere sul valore aggiunto delle province italiane nel 2021 ha messo a confronto le principali voci economiche registrate lo scorso anno nei territori della Penisola rispetto a quelle del 2019. Ebbene, soltanto 22 province su 107 hanno superato i valori pre-Covid e l’analisi geografica di questi risultati fornisce le prime sorprese.

La metà delle province in crescita si trova infatti nel Sud del Paese, per la precisione in Campania e Sicilia con Enna in testa per crescita di ricchezza prodotta (+2,9% nel 2021 rispetto al 2019) e Avellino al secondo posto (+2,7%). Certamente, fa notare il presidente di Unioncamere Andrea Prete, stiamo parlando di dati percentuali: «È ovvio che, in termini assoluti, la ricchezza di Milano resta superiore e infatti il capoluogo lombardo si conferma al primo posto per valore aggiunto pro-capite, con oltre 49.300 euro, sebbene invariato rispetto all’anno pre-pandemia».

Tuttavia ci sono alcune dinamiche territoriali significative e inattese, fa notare il presidente: «Il Covid ha rimescolato la geografia produttiva del Paese – commenta Prete –. Registriamo, ad esempio, la crisi della direttrice adriatica dello sviluppo, che in gran parte rimane ancora sotto i valori pre-Covid, mentre quella tirrenica è ripartita con maggiore rapidità, favorita anche da un miglior livello delle infrastrutture, a cominciare dall’Alta velocità». I piccoli centri, inoltre, dimostrano performance migliori rispetto alle grandi aree metropolitane, grazie al fatto che la piccola impresa ha recuperato volumi e valori più rapidamente rispetto alle grandi aziende.

Tuttavia, il dinamismo di alcuni settori (costruzioni, turismo, manifattura) e di alcuni territori non è stato sufficiente a riportare l’economia delle province, nel loro complesso, ai livelli pre-pandemia: la media nazionale ha segnato infatti lo scorso anno un calo dell’1,2% del valore aggiunto rispetto al 2019. Un dato che probabilmente è migliorato nella prima metà del 2022, ma è difficile prevedere quale sarà l’evoluzione complessiva nell’anno in corso, data la situazione attuale di forte incertezza. «Siamo tutti preoccupati per l’impennata dei costi dell’energia, che potrebbe dare esiti imprevisti, soprattutto sotto l’aspetto inflattivo, generando una perdita del potere d’acquisto delle famiglie che si rifletterà inevitabilmente sui consumi, innescando una spirale recessiva. Su questo, il futuro governo è chiamato a dare risposte di contrasto», osserva Prete Che aggiunge: «Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina e la crisi energetica. Siamo come in aereo, in mezzo alle nuvole: si balla».

Tornando ai numeri del 2021, in linea generale si osserva che il comparto delle costruzioni – sulla spinta dei numerosi e sostanziosi incentivi fiscali – ha recuperato terreno più rapidamente e diffusamente degli altri, con valori positivi sostanzialmente in tutte le province (tranne quattro) e una crescita media del 12,6% rispetto al 2019. La sorpresa, in questo caso, è che ad averne maggiormente beneficiato non sono le grandi metropoli, come si potrebbe pensare, ma due medie città umbre, Terni (+42%) e Perugia (+39,8%), seguite da una città del Sud, Messina (+37,6%). All’opposto, nei servizi sono appena nove le province che registrano una crescita tra il 2019 e il 2021, tutte al Centro-Sud (in testa Avellino e Benevento), mentre il dato medio segna un -2,9%. A rallentare la ripresa, si legge nell’analisi, è soprattutto il turismo, che quest’anno ha raggiunto ottimi risultati, ma lo scorso anno era ancora in difficoltà in molte zone d’Italia.

La manifattura, infine, cresce mediamente dell’1,9%, sostenuta dalle ottime performance delle province del Nord-Ovest (La Spezia e Genova ai primi posti).

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