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La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo mette in discussione le previsioni del Def

di Ettore Jorio

Determinerà una caduta rovinosa per il bilancio delle Repubblica. Prima toccherà allo Stato. Poi sarà lo Stato a rivalersi su Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni. Tutte le autonomie saranno chiamate a rifondere le casse statali dei pagamenti svuotate dall'obbligo di adempimento dei debiti commerciali accumulati dagli enti territoriali, dalle aziende sanitarie, dalle partecipate e degli enti strumentali, fondazioni comprese, in quanto di loro diretta emanazione e responsabilità solidale.

Rien ne va plus
Basta, quindi insomma con gli escamotage, messi in moto sino a oggi che hanno determinato fallimenti e stati di profonda crisi di aziende fornitrici e, per altri versi, fortune delle società di factoring che hanno fatto miliardi di speculazione in pesanti oneri finanziari sulla pelle della gente e sui bilanci del sistema della autonomie, realizzate con non poche complicità all'interno di esse.
É quanto sancito dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu) mettendo tra l'altro in seria discussione le previsioni del Def. Lo Stato infatti dovrà assumersi il pesante onere di liquidare i debiti di annata accumulati dalla Regioni, dagli enti locali e dagli enti da essi derivati. Peccato che molti di questi incassi miliardari che la Corte di Strasburgo legittima a pieno titolo andranno a finire a società fallite o in procinto di esserlo, rispettivamente responsabili di tanti licenziamenti e di tanta precarietà occupazionale. Insomma, la decisione della Cedu, se prodotta prima, avrebbe salvato tante imprese e tanti posti di lavoro.

Le rovine sono state tante e irrimediabili, finanche incredibili
Al riguardo, ci sono casi nel Paese che gridano vendetta su fallimenti causati dall'incapacità amministrativa degli enti difesa a spada tratta dalle Regioni nella specificità nel creare carrozzoni spreca risorse con la consapevolezza che tali fossero. Un caso emblematico è stata la Calabria, generatrice nel 2004 di mostri giuridici messi in mano a incapaci (su tutti la Fondazione Campanella), che ha lasciato sul tappeto 97 milioni di debiti accollati all'Azienda Ospedaliera Mater Domini, che anziché dare servizi ha dovuto appostarli a insussistenze dell'attivo nel 2021. Un tema specifico sul quale pende giudizio a Strasburgo a seguito del quale, certamente in linea con la giurisprudenza europea attuale, se ne vedranno delle belle con responsabilità derivate a carico dei decisori di allora. Ma questo è solo l'esempio di quanto la Corte di Strasburgo ha dovuto prendere atto degli accaduti in terra italica, prioritariamente nel Mezzogiorno.

Conseguenza: un Def inverosimile, da correggere con in sede di Nadef
Regioni e gli enti locali, con i loro enti derivati, principalmente quelli operanti nel Ssn, inguaieranno lo Stato ma soprattutto la Nazione che, alla fine, pagherà tutte le spese. Quanto è accaduto, a cura della Corte europea che si occupa della tutela dei diritti dell'Uomo, ha nella sostanza ha detto no al ricorrente giochetto di non pagare i debiti contratti dal sistema autonomistico in senso lato, continuando a fare della rovina dei creditori la loro cinica mission.
Lo ha già fatto di recente in favore di chi vantava da tempo crediti nei confronti di Comuni e dell'Azienda sanitaria provinciale di Crotone, com'era che fosse cominciando dalla Calabria senza diritti civili e sociali. Ma si andrà anche altrove, abbondantemente.
Dovrà essere lo Stato a pagarli (Cedu, dixit), salvo poi rivalersi sugli originari debitori istituzionali, destinati alla rovina e a generare drammi umani da disservizio.
In breve, è finita la pacchia di Presidenti di Regione, di decisori di enti locali (sindaci e presidenti delle province), delle società partecipate e delle fondazioni costituite per giocare d'azzardo con la certezza di farla franca. Troppe le occasioni di passare lisci dalle tenaglie della Corte dei conti, invero in alcuni siti geografici non propriamente attenta e efficiente nell'esercitare i controlli e di andare oltre come suo dovere. Spesso per carenza di organico.

L'emancipazione delle sedi legislative
Non solo. Basta con lo strumento in mano alla politica nazionale, forse anche questo troppo tollerato dalla Consulta, di bloccare per decenni le azioni esecutive, nei confronti degli enti pubblici, da parte di creditori di entità economiche "uccidi imprese", per non fare saltare il banco del debito pubblico.
Ma soprattutto per non fare emergere ciò che è venuto fuori dalla Cgia di Mestre che ha stimato, per difetto, il debito pubblico attualizzato commerciale della Pa intorno a sessanta miliardi di euro. Ciò con chi sostiene grandezze superiori.
La complicità nella tolleranza verso i protagonisti della malagestio, progressivamente in aumento, è stata tuttavia bipartisan. Per non parlare dei governi con dentro di tutto e di più. Tutti armonicamente impiegati, maggioranze e opposizioni, a salvare la propria nave con la certezza che chi verrà avrebbe fatto altrettanto con i loro predecessori.
Gli esempi sono eclatanti. Dissesti negati a Comuni e province e, se dichiarati, reiterati ad libitum. Predissesti negli enti locali aggiustati con leggi approvate in corsa d'opera giudiziaria nonostante l'inseguimento corretto del Magistrato contabile nel chiedere conto e sottolineare responsabilità implicite. In breve, si è fatto un uso politico persino della Costituzione per fare sì che «i ladri scappassero inseguiti dalla guardie».
Nelle Regioni non è stato da meno. Debiti accumulati per miliardi di euro, sia nei loro bilanci ordinari che nei consolidati, spesso mendaci sino alla punta dei capelli. Per non parlare dei servizi sanitari regionali, ove il "pompiere" Stato, pronto a spegnere gli incendi dolosi, ha cercato di rimediare alla più non posso impedendo quanto la Corte di Strasburgo ha sancito oggi. Partecipate a gogò, fondazioni costituite per buttare i quattrini nel cestino e, frequentemente, nelle borse dei beneficiari delle "disattenzioni". Persino allorquando lasciate in mano a funzionari dello Stato di "molto" presunto pregio. Meglio, a coloro che sarebbero stati chiamati a tutelarlo dallo scialacquamento programmato, cui hanno invece abbondantemente fatto zuppetta.

Il quesito dalla risposta semplice ma da attuare a fatica. Ma occorre farlo
Cosa dire? Alla luce della sentenza della Cedu potrà cambiare il modo di vivere italico nelle Istituzioni. Anzi dovrà farlo a tutti i costi. Pertanto, non potranno essere consentite fusioni dagli scopi eludenti il diritto e palesi elusioni la buona amministrazione. Non dovranno formalizzarsi compiacenze ministeriali al di fuori di ogni grazia di Dio, contro il diritto solo perché pretese dalla politica amica. Non saranno consentiti ricorsi a leggi regionali, spesso scritte con i piedi, politicamente protette dal Governo in relazione all'obbligo imposto dall'art. 127 della Costituzione, non impugnate volutamente avanti la Consulta, al solo scopo di generare pericolosi nuovi soggetti giuridici strumentali ad evitare i pagamenti dei debiti dei singoli attraversi l'avvii di artate estinzioni liquidatorie.
La politica dovrà tornare a fare la politica, quella vera. I preposti alle istituzioni territoriali e alle loro "partecipate" dovranno rispondere, anche se in seconda battuta ma pesantemente, dei debiti contratti e colpevolmente non onorati nonché delle responsabilità erariali conseguenti.
Con questo, stop allo spazio di governare Regioni ed enti locali utilizzando gli intervalli di complicità che la politica seduta al Governo consente solitamente per ragioni elettorali e di difesa delle loro propaggini sul territorio.
L'evento e la ricaduta giurisprudenziale sono notevoli e disastrosi per il bilancio della Repubblica dal punto di vista finanziario. Bisognerebbe, a fini di tutela del sistema di insiemi, riformare le norme interne. Ciò al fine che pongano ostacoli alla libera esecuzione del dictum europeo, contingente e non solo, anche se di non facile concepimento.