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La Corte costituzionale «salva» la riduzione dei vitalizi della giunta e del consiglio regionali

Le misure che hanno ridotto i trattamenti in corso di erogazione non ledono il principio del legittimo affidamento

di Amedeo Di Filippo

Le misure che hanno ridotto i vitalizi regionali trentini in corso di erogazione non ledono il principio del legittimo affidamento in quanto da un lato trovano una ragionevole giustificazione nelle esigenze di contenimento della spesa, dall'altro non trasmodano in un regolamento irrazionale. È quanto afferma la Corte costituzionale con la sentenza n. 136/2022.

I vitalizi
Sono state censurate le norme di legge della Regione Trentino-Alto Adige di determinazione delle indennità spettanti ai membri della giunta e del consiglio, che in particolare hanno ridotto del 20% l'ammontare lordo mensile di tutti gli assegni vitalizi diretti, non attualizzati, e di reversibilità, compresi quelli già in godimento o attribuiti. Hanno inoltre posto il limite (9.000 euro lordi mensili) alla cumulabilità del vitalizio regionale con analogo trattamento per aver ricoperto la carica di parlamentare nazionale o europeo o per essere stato componente di organi di altre regioni e i contributi di solidarietà avvicendatisi nel tempo; hanno quindi posto a carico degli assegni vitalizi e di reversibilità dei consiglieri una trattenuta a titolo di contributo di solidarietà.
Nel dichiarare in parte inammissibili e in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme trentine, la Consulta prende le mosse dalle ragioni che hanno condotto il legislatore regionale all'adozione delle disposizioni censurate, che risiedono principalmente nella esigenza di sobrietà, ragionevolezza e contenimento della spesa pubblica, da assecondare attraverso il ridimensionamento di trattamenti retti da un regime connotato da indici di particolare favore quanto all'età e contribuzione minima necessaria per maturare il diritto all'assegno, all'ammontare della contribuzione gravante sul consigliere in rapporto alla sua misura, alla possibilità di cumularlo con altro trattamento vitalizio e di quiescenza altrimenti maturato in passato anche in virtù di contribuzioni figurative.

La legittimità
Nel rilevare «la ragionevole giustificazione degli interventi riduttivi posti in essere dal legislatore regionale», la Corte valuta se essi si traducano in un regime lesivo del legittimo affidamento ed evidenzia che l'esigenza di ripristinare criteri di equità e di ragionevolezza e rimuovere le sperequazioni e le incongruenze è da ritenersi preponderante rispetto alla tutela dell'affidamento, tanto più che le misure censurate riguardano trattamenti di ammontare elevato (9.000 euro lordi mensili), tali da escludere ex sé la lesione del legittimo affidamento. Né i consiglieri possono eccepire la mancata prevedibilità degli interventi, posto che il legislatore nazionale adottava in quei frangenti analoghe misure di contenimento della spesa, anche previdenziale.
I giudici costituzionali infine esaminano la tesi secondo cui il vitalizio regionale risponda alla ratio, sottesa all'indennità consiliare, di sterilizzare gli impedimenti economici all'accesso alle cariche di rappresentanza democratica e di garanzia dell'attribuzione di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l'indipendenza. Sul punto essi rispondono che al Parlamento nazionale deve essere riconosciuta una posizione costituzionale del tutto peculiare in ragione della quale le norme che si riferiscono a esso o ai suoi membri sono da qualificare come «diritto singolare», in quanto garantiscono forme di indipendenza e prerogative ben più ampie di quelle concesse ai consigli regionali, negandosi in conseguenza la piena equiparazione delle assemblee legislative regionali alle assemblee parlamentari. Considera infine la Corte che, diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, le attribuzioni dei Consigli si inquadrano nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite «ma non si esprimono a livello di sovranità».

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