Fisco e contabilità

Il paradosso del fondo extracosti: tagliate fuori le gare troppo veloci

I piani sulla qualità dell’abitare partiti per primi sono tagliati fuori dalle compensazioni

di Gianni Trovati

Gli ultimi saranno i primi, dice il Vangelo. Il problema è quando i primi si ritrovano ultimi. Come accade, nella caotica realtà quotidiana delle regole amministrative così lontana da qualsiasi forma di perfezione celeste, agli enti locali che sono stati più veloci nel far partire i bandi del «Pinqua».

Questa ennesima sigla partorita dall’enfasi pianificatoria che circonda negli ultimi anni gli investimenti pubblici indica il «Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare», finanziato con 2,8 miliardi rientrati nel Pnrr.

A Milano anima piani di riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica e di rigenerazione urbana nei quartieri più difficili, a Genova punta a rivitalizzare i caruggi del centro storico, a Caserta vuole rinnovare il quartiere Acquaviva, e così via. In tutto i progetti sono 159, e si sono divisi i 2,8 miliardi assegnati dal ministero delle Infrastrutture il 7 ottobre del 2021. Fin qui tutto bene.

Poi la palla è passata agli enti territoriali, che si sono mossi a velocità diverse. I più attivi hanno completato in fretta le procedure e in pochi mesi hanno avviato le gare, partendo prima di quel 18 maggio 2022 che fin lì non significava nulla. Ma che si sarebbe rivelato importantissimo poi.

Quel giorno è entrato infatti in vigore il decreto Aiuti (Dl 50/2022) che, fra le tante misure pensate per sostenere l’economia, ha fatto nascere il fondo di compensazione degli extracosti nelle opere pubbliche nel frattempo gonfiati dall’inflazione.

Il fondo interviene a sostenere i pagamenti legati alle gare bandite da quel 18 maggio, anche perché come dispone l’articolo 11 delle preleggi «la legge non dispone che per l’avvenire» (tranne quando conviene).

Con il risultato che chi è stato più veloce ora è impantanato nella gestione di costi che non riescono a rientrare nel quadro economico iniziale. Senza aiuti.

La vicenda, oltre a essere intricata sul piano pratico in assenza di correttivi, ha anche un valore più generale. Perché mostra che la complessità dei problemi intorno all’attuazione del Pnrr rischia spesso di sfuggire all’approccio con cui nei vari decreti d’urgenza si prova a tamponare i singoli problemi quando emergono.

Il decreto Pnrr ter approvato giovedì scorso in consiglio dei ministri non fa eccezione. Introduce per esempio all’articolo 25 del testo esaminato dal governo una serie di deroghe, chieste peraltro da tempo dagli amministratori locali, per cercare di recuperare i ritardi accumulati nella lunga attesa della definizione delle graduatorie ministeriali nei bandi relativi all’edilizia scolastica.

Per evitare nuovi intoppi si apre all’utilizzo dei risparmi prodotti dai ribassi d’asta per compensare i costi cresciuti poi per effetto dell’inflazione, e per tagliare i tempi si alza a 215mila euro la soglia per gli affidamenti diretti della progettazione anche senza la preventiva consultazione di più operatori economici. Si tratta di una deroga diretta ai principi concorrenziali del codice degli appalti, giudicata indispensabile per recuperare il tempo perduto. Ma rientra in una logica emergenziale che affronta le singole questioni caso per caso e rischia però di non tener dietro a una macchina articolata come quella del Pnrr.

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