Urbanistica

Condoni: 8 miliardi dispersi, semplificazioni ferme. Sul dissesto manca un piano, Pnrr marginale

Ai comuni 6 miliardi per progetti «eterogenei»: c’è pure l'illuminazione pubblica

di Giorgio Santilli

C’era una volta un piano per il dissesto idrogeologico, approvato per importanti stralci: aveva collegato un fondo nazionale di 8,5 miliardi ed era stato affidato a una struttura centralizzata a Palazzo Chigi chiamata «Italia sicura» che è stata la sola a mettere un po’ di ordine nel grande Far West della difesa del suolo in Italia. A guidarla tecnici del calibro di Erasmo De Angelis e Mauro Grassi. Era stata tirata su dal governo Renzi ed è stata poi liquidata da un giorno all’altro dal governo gialloverde Conte 1. Lo stesso che non ha direttamente varato la sanatoria edilizia a Ischia, ma ha approvato norme per accelerare le pratiche.

Oggi - dopo l’ennesima tragedia - questi temi sono oggetto di guerre politiche e mediatiche, soprattutto fra Conte e Renzi, ma quello che conta davvero è l’incapacità di un Paese (e della sua classe politica), anche su un tema così luttuoso, di convergere su soluzioni capaci di affrontare e risolvere i problemi. Lo scioglimento di «Italia sicura» è stata una follia: si sono fermati anche i progetti ischiani a Casamicciola e a Forio. Gli 8,5 miliardi di fondi collegati a quel grande piano sono stati dispersi, nessuno sa se destinati ad altro o assegnatie alle regioni e disseminati fra progetti che hanno il solito vizio della frammentarietà.

Anche il sacro Pnrr sul dissesto idrogeologico fa un buco nell’acqua. Marginale. Ininfluente. Le norme inserite a forza dall’ex sottosegretario all’Ambiente, il pd Roberto Morassut, nel primo decreto semplificazioni del Pnrr (77/2021) sono ferme, inattuate. E i 2,49 miliardi inseriti nel Pnrr per il dissesto idrogeologico (missione 2, componente 4, investimento 2.1) sono sostitutivi dei fondi nazionali dispersi o quel che ne resta, ma per la metà vanno alla Protezione civile che non fa prevenzione. Nella stessa missione ci sono 6 miliardi per i comuni, forse messi lì per dire che gli 8 miliardi di un tempo ci sono ancora tutti. Ma che questi 6 miliardi non abbiano nulla a che fare con un piano strategico lo ammette lo stesso Pnrr che alla componente 2.2 recita: «L’investimento aumenterà la resilienza del territorio attraverso un insieme eterogeneo di interventi (di portata piccola e media) da effettuare nelle aree urbane. I lavori riguarderanno la messa in sicurezza del territorio, la sicurezza e l'adeguamento degli edifici, l'efficienza energetica e i sistemi di illuminazione pubblica». Dalla frammentazione alla eterogeneità. Miseria pura. Poco più di un regalo ai comuni senza alcuna direzione di marcia.

È evidente che manca un piano nazionale e, con il consueto fiuto politico, ci è già salita sopra la premier Giorgia Meloni, annunciandone uno per la fine dell’anno.

Morassut, padre delle norme di legge che semplificherebbero (se fossero attuate), ricorda che «qui stiamo parlando di interventi delicatissimi, vasche di laminazione, casse di espansione, dragaggio di fiumi, contenimento dei cigli franosi, che richiedono strutture tecniche iperspecializzate». Lui propone nuclei regionali, è la posizione Pd. Mauro Grassi sostiene invece che «senza un nucleo centrale è impossibile gestire un piano che non può che essere nazionale, con articolazioni regionali». Ora si attende la ricetta Meloni. Non c’è molto tempo se si vuole prendere il treno del 2026, magari con un Pnrr modificat

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