Il CommentoFisco e contabilità

Asili nido, dietro il flop dei bandi Pnrr al Sud

di Marco Rossi Doria (*)

La questione dei nidi è una questione cruciale per lo sviluppo del Paese. L’azione educativa molto precoce e di qualità – l’early start – è secondo tutte le esperienze e gli studi del mondo, la più forte precondizione per favorire apprendimento, successo formativo e cittadinanza attiva. Crea quella solida base per lo sviluppo sostenibile. È anche il modo più serio per contrastare l’esclusione sociale e i costi che questa comporta.

È per questo che il Pnrr dà grande importanza allo sviluppo dei nidi nel nostro Paese, che è in una condizione inaccettabile di esclusione precoce, con 1,3 milioni di minori in povertà assoluta e altri 2,2 in povertà relativa su 9,3 milioni! Ma la prima chiamata per aumentare l’offerta di nidi con i fondi Pnrr non è, purtroppo, andata bene. Perché le richieste coprono solo 1,2 miliardi su 2,4 disponibili. E perché Lombardia, Emilia-Romagna, Campania, Toscana, Piemonte hanno inoltrato più domande e ciò vuol dire che, con l’eccezione della Campania, le maggiori richieste sono pervenute da regioni dove vi è già una buona copertura. Va ben compresa la gravità del dato territoriale. I dati sui nidi del nostro Osservatorio #conibambini segnalavano l’anno scorso che l’obiettivo del 33% di copertura stabilito dall’Europa non deve diventare una mera media nazionale. Vanno affrontati i divari tra aree fragili e aree protette, in particolare (ma non solo) tra Nord e Sud che oggi vede 32 posti-nido per ogni 100 bambini nel Centro-Nord contro i 13,5 posti nel Sud. Ed è per questo che il 40% dei fondi per i nidi è destinato al Mezzogiorno. Sappiamo che più nidi e servizi per la prima infanzia vuol dire non solo più famiglie che possono conciliare lavoro e genitorialità, ma meno dispersione scolastica. Ciò è ancor più vero se si creano comunità educanti, tra scuola e terzo settore, che sanno accompagnare bambine/i e genitori, spesso fragili, dalla prima cura, attraverso i nidi alla scuola d’infanzia, alla primaria fino al termine degli studi. La falsa partenza nella risposta all’offerta rischia di sprecare l’occasione del Pnrr per ridurre le diseguaglianze.

Dinanzi al venir meno delle domande nel Mezzogiorno si fa avanti, purtroppo, chi afferma che ciò è dovuto a una scelta delle famiglie di tenere a casa i bimbi e a motivi “culturali”. Sono argomentazioni fallaci. E sono i dati a renderlo evidente. Nel nostro report abbiamo sottolineato come nelle regioni meridionali con meno nidi è più alta la quota di anticipatari alla scuola dell’infanzia. Viceversa, gli anticipi sono più contenuti in molte delle regioni con maggiore offerta. Perché allora così poche domande dai comuni del Sud? Per più ragioni. Molti comuni sono fragili: hanno sofferto il blocco e la mancata crescita di qualità nelle assunzioni e veri collassi nei bilanci. Sono stati poi troppo a lungo spinti a gestire l’emergenza anziché a progettare servizi per lo sviluppo educativo. E hanno temuto che il finanziamento non comprendesse un contributo per la gestione. Infine, lo strumento del bando spesso non aiuta a immaginare servizi nuovi, perché polarizza le attenzioni sulla concorrenza anziché sulle sinergie.

Le esperienze di tanti progetti dedicati alla prima infanzia in aree fragili che il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, voluto dalle fondazioni di origine bancaria e dallo Stato, ha messo in campo negli ultimi 5 anni, ci insegnano che è indispensabile dedicare tempo (non basta la fine di marzo) all’affiancamento tecnico e anche a quello “civile”, per costruire co-progettazioni concordate tra città nelle aree metropolitane e nelle aree interne coinvolgendo le tante competenze del Terzo settore insieme a scuole e comuni, nello spirito delle comunità educanti e della sussidiarietà sancita dall’art. 118 della Costituzione, in modo da assicurare una “messa a terra” di successo dei nidi stessi, dando importanza alla continuità tra spesa straordinaria e sostenibilità ordinaria e continuativa nel tempo.