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A2A, i piccoli azionisti pubblici valgono il 5%: sale l’ipotesi di un patto di sindacato allargato

Oggi i Comuni di Milano e Brescia hanno vincolato il 42% delle azioni totali

di Cheo Condina

Un patto di sindacato «allargato» ai piccoli per governare la A2A del futuro, che potrebbe via via risolvere le joint venture realizzate in Lombardia accogliendo nel proprio capitale i Comuni del territorio. È questo il possibile percorso, immaginato sul mercato, per la governance della prima multiutility italiana dopo che, nei giorni scorsi, l'assemblea straordinaria ha deliberato la fusione con Lgh, le cui amministrazioni socie (Lodi, Pavia, Crema, Cremona e Rovato) riceveranno in dote complessivamente il 2,75% della stessa A2A.

Ad oggi, va ricordato, il controllo di A2A è saldamente nelle mani di Milano e di Brescia che controllano con quote paritetiche il 50% più due azioni e sono legate da un patto di sindacato sul 42% del capitale che scadrà nel gennaio 2023 (ma la disdetta va data almeno sei mesi prima). Tuttavia, numeri e partecipazioni alla mano, ci sarebbe un ulteriore 10% circa di capitale pubblico che, tra quote già in mano ad alcuni Comuni lombardi e futuri riassetti, potrebbe confluire nell'attuale patto. Solo uno scenario, per il momento, che peraltro dipende da numerose variabili, supportato però da alcuni elementi fattuali.

Innanzitutto c'è il tema di Lgh. A2A deteneva già il 51% - fu la prima delle joint venture territoriali promosse dall'ex presidente Giovanni Valotti – e con la fusione ha rilevato il restante 49% dando in cambio ai Comuni il 2,75% di azioni proprie. Pavia, Crema, Cremona e Rovato – come riferito da Radiocor - stanno lavorando a un mini patto per far sentire la propria voce, Lodi (che detiene solo lo 0,36%) non avrebbe ancora deciso se aderire. Inoltre Pavia e Rovato detengono un altro 0,6% circa di A2A che potrebbe far lievitare il pacchetto Lgh oltre il 3%. A questo potrebbero inoltre sommarsi le quote di Bergamo (che detiene l'1% circa) e di altri Comuni del bresciano, che hanno ereditato azioni A2A al momento della fusione Aem Milano-Asm Brescia, portando complessivamente la partecipazione dei “piccoli” attorno al 5%. Una fetta del capitale che potrebbe essere coagulata teoricamente in breve tempo e che, al prossimo rinnovo del cda, potrebbe puntare a nominare un consigliere di minoranza, anche se la vera ambizione – come detto – sarebbe quella di bussare alle porte di Milano e Brescia per avere un ruolo nella governance e potenzialmente nel patto di sindacato, un'eventualità su cui le amministrazioni delle due città potrebbero nel caso aprire una riflessione.

Più nel medio termine, infine, sia Acsm-Agam (multiutility di Como e Lecco attorno a cui A2A ha costruito la multiutility della Lombardia) sia Aeb Brianza (Seregno) potrebbero in teoria immaginare un riassetto simile a quello di Lgh. Nella prima il gruppo guidato da Renato Mazzoncini detiene il 41% e ha il controllo attraverso un ampio patto di sindacato pubblico; in Aeb – la cui jv con A2A è stata recentemente bocciata dal Consiglio di Stato – ha il 34% dopo avere conferito alcuni asset. Se entrambe le società venissero fuse in A2A - ipotesi al momento puramente accademica, benchè sia l'unica strada che permetta di estrarre a pieno sinergie industriali - i Comuni soci potrebbero ricevere spannometricamente un 5% della multiutility. Questa quota, sommata all'altro 5% riferito a Lgh e Bergamo, porterebbe il peso complessivo dei “piccoli” al 10%. Un loro ingresso nel patto Milano-Brescia porterebbe il capitale blindato al 60% e consentirebbe – anche se il sindaco meneghino Beppe Sala lo ha sempre escluso – alle due città di vendere azioni alla bisogna senza far scendere la quota pubblica sotto la soglia del 50%.

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