Fisco e contabilità

Fitto e Giorgetti difendono la nuova governance: nessun accentramento

Entro il 13 gli emendamenti al Dl, voti in commissione a partire dal 28 marzo

di Manuela Perrone e Gianni Trovati

Due audizioni, doppia difesa: la nuova governance del Pnrr disegnata dal decreto legge all’esame del Senato «non è un accentramento, ma una riorganizzazione per affrontare la sfida». Parola di Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, e di Raffaele Fitto, titolare degli Affari europei, Sud, Politiche di coesione e Pnrr, sfilati ieri uno dopo l’altro in commissione Bilancio al Senato alla fine del ciclo di audizioni sul Dl. Il termine per gli emendamenti è fissato al 13 marzo, il voto dovrebbe cominciare il 28 con l’obiettivo dell’approdo in Aula lunedì 3 aprile.

I ministri hanno fatto quadrato intorno al provvedimento e l’assist di Giorgetti - «sul piano si gioca la capacità di ripresa e crescita del Paese e da parte del Mef c’è la piena disponibilità ad assicurare il supporto all’operazione di riorganizzazione complessiva» - è acqua per spegnere il fuoco di chi, dalle opposizioni, grida all’eccessiva centralizzazione (a Palazzo Chigi) dell’intera partita.

Il titolare dei conti pubblici ha tenuto a sottolineare come il decreto ridefinisca le attività di presidio tecnico del Piano, «rafforzandole con la creazione dell’Ispettorato generale, con compiti di coordinamento operativo nell’attuazione, nella gestione finanziaria, nel controllo della rendicontazione europea e nella gestione del sistema informativo Regis». Obiettivo: arrivare a un sistema informativo unico di monitoraggio che riduca gli oneri a carico delle singole amministrazioni e fornisca al governo «un patrimonio informativo tale da orientare in maniera più consapevole le politiche pubbliche in materia di investimenti».

«Ineludibile» anche per Fitto la necessità di «semplificare e accelerare la spesa», ma anche di voltare pagina per adeguare la governance alla «riassegnazione delle deleghe» decisa dall’esecutivo Meloni e alla presenza di un ministro dedicato al Pnrr e ai fondi di coesione. «Una visione unica tra i diversi programmi europei è sembrata una scelta coerente e funzionale», ha spiegato Fitto, che ha più volte citato la relazione sullo stato di attuazione della politica europea e nazionale, diffusa a metà febbraio, come la base dati «oggettiva» che ha mosso il governo. Con la sua cifra macro, simbolo del fallimento: a fronte dei 126 miliardi della coesione per il ciclo 2014-2020, la spesa è stata di circa il 34%. E «dei 43 miliardi spesi dopo quasi nove anni ancora non tutti sono stati rendicontati»: mancano all’appello 8 dei 13 miliardi finiti a finanziare la spesa emergenziale legata alla pandemia.

Tutto questo anche per difendere un’altra scelta netta: la soppressione dell’Agenzia per la coesione, figlia della presa d’atto di «risultati purtroppo oggettivamente negativi». Senza colpevolizzare quella o questa amministrazione: «Il problema riguarda un sistema». Idem per la facoltà riconosciuta ai ministeri di riorganizzare le unità di missione: «Non immagino l’idea, sbagliatissima, di uno spoil system a prescindere (l’accusa arrivata da più parti, ndr) - ha detto Fitto - né di una conservazione a prescindere. L’invito che faccio a tutti è di evitare di riportare questo tema sul confronto politico».

Mandare in soffitta ciò che non ha funzionato, cercando di far dialogare Pnrr, coesione e RepowerEU (il piano da proporre alla Commissione Ue è in via di definizione) per dare ossigeno agli investimenti, è l’ambizione nobile dell’esecutivo, tanto più in un negoziato che intreccia anche quello sulla riforma del patto di stabilità. La spinta meno nobile è l’esigenza di ottenere da Bruxelles il disco verde all’aggiornamento del Pnrr sfruttando la flessibilità trai i fondi per ovviare ai ritardi. Ecco perché sulla possibilità di andare oltre la scadenza del 2026 si è registrata l’unica divergenza tra Giorgetti e Fitto. Il primo ha spinto il cuore oltre l’ostacolo: «Le condizioni di partenza del Pnrr sono totalmente stravolte, quindi non si violerebbe un tabù». Il secondo, cui spetta il dialogo con la Commissione, precisa: «Al momento l’orizzonte temporale su cui dobbiamo lavorare è giugno 2026». Nel mentre, si tratta.

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