Urbanistica

Per il Ponte sullo Stretto la mina vecchi contratti, governo in cerca di soluzioni

Il Colle boccia la reviviscenza degli accordi sottoscritti con le società costruttrici

di Flavia Landolfi

Il day after del Cdm che - salvo intese - ha approvato la bozza di decreto-legge salva-Ponte si consuma sotto il segno delle interlocuzioni tra ministero delle Infrastrutture, Palazzo Chigi e il Quirinale. Interlocuzioni piuttosto intense visto che il Colle ha aperto un faro sul provvedimento sollevando forti perplessità su un aspetto, forse il più delicato in questa difficile partita della riaccensione dei motori dell’infrastruttura: quelle cioé di strappare i contratti «caducati» alla cancellazione e restituirli a una nuova vita «senza soluzione di continuità», come recita il testo. Per il Quirinale questo passaggio va rivisto radicalmente, forse cancellato del tutto. Fatto sta che in queste ore si sta lavorando di lima per trovare una soluzione, un piano B che salvi il cuore del provvedimento senza scossoni giuridici. Le verifiche sono anche su altri passaggi ma questo è quello più complesso da quando il governo ha dichiarato di voler procedere con il progetto originario, intorno al quale in questi anni sono fioccate cause milionarie.

È questo il nodo dei nodi, quello che funesta le notti dei tecnici alle prese da mesi con una quadra difficile da scovare: da un lato la corsa veloce verso il cantiere, dall’altro il rispetto di tutte le regole, comprese quelle sulla concorrenza e con un occhio alle casse dello Stato.

Ma qui facciamo un passo indietro. Tutto nasce nel 2012 quando il governo Monti passa un colpo di spugna sopra i contratti sottoscritti tra l’allora Società dello Stretto Spa (controllata da Anas) e il consorzio Eurolink con a capo Impregilo (ora Webuild) come general contractor dell’opera e Parsons Transportation come consultant manager. La parola fine al progetto del Ponte, contenuta in un decreto e decisa per ragioni di sostenibilità economica non è però stata indolore. Le società, compresa la stessa Società dello Stretto, hanno chiesto danni, indennizzi e risarcimenti per la risoluzione anticipata degli accordi. In particolare Eurolink per 700 milioni di euro, Parsons Transportation per 90 milioni e la Società dello Stretto per altri 320 milioni di euro. La vicenda giudiziaria di questi ricorsi è intricatissima: basti ricordare che la questione dei risarcimenti è finita addirittura in Corte costituzionale che nel 2019 ha stabilito il perimetro degli indennizzi da corrispondere alle societa maggiorato del 1o%. Ora il decreto-legge, all’articolo 4, resuscita i vecchi accordi stabilendo la rinucia a ogni rivalsa attraverso atti aggiuntivi e la prosecuzione, come se nulla fosse, dei rapporti contrattuali «caducati». C’è quindi un nodo giuridico legato al fatto che il progetto non contenga nuove gare; c’è l’occhio vigile dell’Europa e infine anche la percorribilità di una soluzione simile, dal momento che la rinuncia a ogni azione è volontaria e probabilmente non gratuita.

Ma intanto il vicepremier e ministro Matteo Salvini tira dritto: «Sto sbloccando cantieri in tutta Italia, il ponte sullo Stretto costa di più non farlo che farlo, gli italiani hanno già speso centinaia di milioni di euro senza che si sia ancora posata una pietra». E aggiunge che «in poco tempo si ripagherà e da tutto il mondo verranno ad ammirare l'ingegneria italiana».

Ci va con i piedi di piombo invece l’ex ministro Graziano Delrio oggi senatore del Pd: «Sul progetto del Ponte riproposto oggi a distanza di 20 anni fu condotto da vari governi,Monti in primis, un’analisi puntuale e accuratissima che alla fine aveva sconsigliato di proseguire su quel progetto perché insostenibile dal punto di vista finanziario: si trattava di un costo costruttivo di circa 4 miliardi di allora con un project financing tutto a favore dei privati ai danni delle casse dello Stato - dice - il progetto era da accantonare anche perché presentava una serie di anomalie come l’assenza di una serie di autorizzazioni ambientali e tecniche. Ripartire da lì significa propaganda e non realismo».

Guarda ai riflessi economici di un’opera che collegherebbe Calabria e Sicilia e rientrerebbe nelle reti Ten-t il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso: realizzarlo, dice il ministro, «significa decine di migliaia di posti di lavoro diretti, ma soprattutto significa in qualche misura anche la rinascita della siderurgia e dell’acciaieria italiana». E aggiunge che «si può fare e si può fare in pochi anni. E questo andrà a beneficio di tutto il Mezzogiorno, certamente della Sicilia e della Calabria».

Tutto è ancora in ballo però, in attesa di trovare una quadra su come ripartire senza rischiare procedure di infrazione o altri stop di cui è costellata la tormentata vicenda di quest’opera

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