Fisco e contabilità

Servono 119 decreti per sbloccare 4,6 miliardi del 2023

Sono 52 gli atti che hanno la scadenza prevista entro il 30 giugno prossimo

di Andrea Marini

Con il via libera definitivo arrivato ieri dal Senato, si è chiuso l’iter parlamentare della legge di Bilancio 2023. Si apre ora la partita della sua attuazione, che coinvolgerà soprattutto gli uffici ministeriali. Ci sono norme della manovra che entreranno subito in vigore dal primo gennaio 2023: dalla flat tax incrementale alla norma pensionistica di Quota 103, passando per l’innalzamento del limite all’uso del contante a 5mila euro, per il taglio del cuneo contributivo e per l’estensione dell’agevolazione per l’acquisto prima casa per gli under 36, per citarne solo alcune. Altre misure, tuttavia, avranno bisogno di un ulteriore passaggio per non restare solo sulla carta. In dettaglio, serviranno 119 provvedimenti attuativi, necessari per sbloccare risorse pari a 4,6 miliardi nel 2023 (che diventano 11,3 miliardi se si proietta l’orizzone fino al 2025).

Tra questi ci sono le norme necessarie a rendere operativa quella trentina tra nuovi fondi istituiti o vecchi fondi rifinanziati. Ma di un provvedimento attuativo avrà bisogno anche il miliardo di risorse da destinare all’emolumento una tantum per gli statali (si legga articolo a fianco). Stessa sorte anche per attuare gli incentivi al trattenimento in servizio dei lavoratori che hanno maturato Quota 103 per andare in pensione. Un decreto ministeriale sarà necessario poi per l’istituzione del tavolo tecnico che dovrà elaborare misure per ridurre i costi delle transazioni tramite Pos sotto i 30 euro. Ancora, per l’attuazione Carta della cultura Giovani e della Carta del merito, che andranno a sostituire il bonus cultura ai 18enni, servirà un altro decreto ministeriale.

I 119 provvedimenti attuativi previsti dalla legge di bilancio 2023 possono sembrare tanti, ma in realtà rappresentano un numero tutto sommato ridotto rispetto alle manovre varate nelle ultime tre legislature. Basti pensare che il governo Gentiloni arrivò alla fine dell’iter parlamentare con la manovra 2018 a quota 189 atti. Un numero più contenuto rispetto alla prima legge di Bilancio del governo Meloni ce l’hanno avuto solo la manovra 2014 (governo Letta) e la manovra 2017 (governo Renzi), mentre la manovra 2015 (sempre governo Renzi) aveva anch’essa 119 misure attuative.

Quest’anno a pesare c’è stato anche il tempo ridotto che ha avuto il governo Meloni per scrivere il testo della legge di Bilancio 2023: entrato in carica il 22 ottobre scorso, l’esecutivo ha approvato la manovra nel consiglio dei ministri del 22 novembre. Il testo è stato poi presentato alla Camera il 29 novembre, dove è stato approvato neanche un mese dopo, con modifiche, alla vigilia di Natale. Poi il passaggio lampo al Senato, che non ha potuto far altro che ratificare il testo della Camera, con il via libera definitivo di ieri. Questi tempi stretti spiegano come mai la manovra licenziata dal consiglio dei Ministri aveva soltanto 67 provvedimenti attuativi. A cui i deputati a Montecitorio sono riusciti ad aggiungerne appena 52 (niente a che vedere con l’effetto moltiplicatore degli anni passati). Per considerare solo il termine di paragone più vicino a livello temporale, la manovra 2022 del governo Draghi era entrata in parlamento con 90 decreti attuativi, a cui i parlamentari ne avevano aggiunti altri 70.

Tuttavia, le prime scadenze già incombono: dei 119 provvedimenti della manovra Meloni 2023, 52 hanno la scadenza (prevista dalla legge di Bilancio stessa) entro il 30 giugno prossimo. E di questi 52, sono 40 quelli che prevedono il via libera entro fine marzo.

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