Personale

Legittimo il licenziamento del dipendente per falsa attestazione in servizio anche se in pendenza del procedimento penale

Per la Cassazione l'intenzionalità certa e la gravità del comportamento del dipendente sono sufficienti

di Consuelo Ziggiotto e Salvatore Cicala

La grave illiceità della condotta del dipendente volta ad attestare falsamente la propria presenza in servizio, accertata in fase istruttoria (con riprese video, servizi di pedinamento e dati rilevati dai badge), legittima il licenziamento del dipendente pubblico anche se i fatti contestati sono oggetto di un procedimento penale ancora pendente, trovandosi l nella fase delle indagini preliminari. Questi i contenuti riportati nella sentenza della Corte di cassazione, sezione Lavoro, n. 32611/2022.

Un ente locale ha applicato nei confronti di un dipendente la sanzione massima del licenziamento per aver falsamente attestato, in diverse giornate, la propria presenza in servizio grazie alla compiacenza di alcuni colleghi che timbravano al suo posto il cartellino.

Il comportamento scorretto del dipendente, accertato con video riprese, pedinamenti da parte della polizia giudiziaria e dai dati relativi ai badge, ha avuto un risvolto anche di natura penale con l'emanazione di un'ordinanza del Gip.

La sanzione disciplinare comminata, che tiene conto anche di precedenti procedimenti disciplinari a carico del dipendente, deriva all'applicazione dell'articolo 55-quater, comma 1, lettera a), del Dlgs 165/2001, il quale prevede la sanzione disciplinare del licenziamento nel caso di falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l'alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente.

Il dipendente si è rivolto al giudice ordinario per chiedere il suo reintegro.

Il ricorrente ha fondato la sua difesa sul presupposto che l'ente non avrebbe potuto contestare una falsa attestazione della presenza in ufficio sulla base delle sole valutazioni contenute nell'ordinanza del Gip e che soltanto il giudicato penale, a certe condizioni, avrebbe potuto produrre effetti determinanti nei giudizi disciplinari o comunque nei giudizi civili.

Il licenziamento è stato confermato anche nel secondo grado di giudizio e il lavoratore ha promosso ricorso in Cassazione.

Per la Cassazione l'intenzionalità certa e la gravità del comportamento del dipendente, accertata in fase istruttoria dall'ufficio per i procedimenti disciplinari con una certa oggettività (vide riprese, relazioni sui pedinamenti e dati dei badge), tale da integrare la fattispecie penalmente rilevante, sono da ritenersi ragioni idonee a giustificare la congruità della sanzione disciplinare impartita al dipendente. La sanzione del licenziamento, riconducibile dell'articolo 55-quater, comma 1, lettera a), del Dlgs 165/2001, è suffragata da una «grave illiceità» del comportamento (stante il reiterarsi della condotta fraudolenta in molteplici giorni) e l'esistenza di una certa intenzionalità, come dimostrano le indagini condotte. Pertanto, non sono gli elementi desunti dall'ordinanza resa in sede penale ad aver determinato il presupposto del licenziamento ma l'aver dimostrato nel procedimento disciplinare, in un'analisi completa di dati oggettivi e di atteggiamenti soggettivi, che l'accaduto fosse di gravità massima tale da non consentire l'applicazione di diversa sanzione.

La Corte di cassazione ha così rigettato il ricorso promosso dal dipendente e condannandolo al pagamento delle spese di lite.

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