Personale

Abilitazione prof si cambia: 60 crediti obbligatori, 36 per i precari

I ministri Bianchi e Messa puntano a 24 Cfu di tirocinio, il resto pedagogici e didattici

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

La scuola resta un mondo a parte. A memoria non c’è un’altra professione che abbia cambiato le regole d’accesso per sei volte in 20 anni. Ed è quello che sta invece per succedere agli aspiranti insegnanti. Dopo Ssis, Tfa, Pas, laurea abilitante per infanzia/primaria e Fit sta per toccare ai 60 crediti formativi obbligatori (di cui 24 per tirocinio) da conseguire insieme al titolo terziario. O in parallelo. Dopodiché per salire in cattedra bisognerà comunque superare il concorso e completare l’anno di prova. A prevederlo è un progetto a doppia firma Patrizio Bianchi (Istruzione)-Cristina Messa (Università) che dovrebbe vedere la luce entro l’anno in un altro decreto Pnrr-Scuola sulle altre riforme previste dalla Missione 4 del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il progetto per ora è stato solo raccontato a voce. E punta a legare la formazione iniziale dei docenti all’abilitazione attraverso l’innesto, nel percorso di laurea, o “a fianco”, di 60 Cfu. A ogni modo, 36 Cfu saranno legati a contenuti psico-pedagogici-didattici, mentre i restanti 24 Cfu sono di tirocinio. Per i precari non abilitati, oggi in cattedra con le supplenze, si pensa a un riconoscimento del servizio svolto, con uno “sconto” da 60 a 36 crediti (in pratica si elimina il tirocinio). Nelle intenzioni del governo toccherà a ciascuna università, in autonomia, distribuire lo svolgimento dei 60 Cfu integrati con le discipline di base e caratterizzanti dei corsi di studio sia durante le lauree triennali sia magistrali (sia soltanto magistrali) usufruendo degli spazi di flessibilità previsti dall’attuale ordinamento. Anche se un’altra strada - caldeggiata soprattutto dal Pd - porta al conseguimento dei crediti in parallelo utilizzando dei centri di ateneo sul modello dei “Cla” linguistici.

Che ci sia bisogno di mettere ordine al sistema lo dicono i numeri. Nelle Gps, le graduatorie provinciali per le supplenze, ci sono oltre 600mila non abilitati (i docenti di ruolo, tra posti comuni e sostegno, sono circa 850mila) e si contano oltre 120 classi di concorso. A ciò si aggiunga il fallimento di tutte le recenti politiche per la formazione e la selezione dei docenti, che hanno un’età media elevata: nella secondaria il numero di professori over50 è del 62%, praticamente due su tre. Con la messa a disposizione (Mad), poi, sono ormai anni che accede all’insegnamento personale non abilitato. Senza contare il canale “alternativo” dell’abilitazione all’estero, da far poi riconoscere in Italia, andando, ad esempio, in Romania e Spagna.

L’idea dell’esecutivo è quella di rendere tutte le lauree abilitanti (come avviene oggi per Scienze della formazione primaria), seguendo un percorso già avviato con le prime lauree abilitanti in ambito sanitario e non solo, recentemente varate dal Parlamento. Ci sarà un periodo di tempo per consentire agli atenei di adeguarsi alle nuove disposizioni. Per Valentina Aprea, storica responsabile scuola di Forza Italia, «siamo di fronte a una grande rivoluzione che garantisce qualità e competenze ai docenti del futuro. La sfida ora è qualificare i crediti». Sulla stessa lunghezza d’onda, il capogruppo Iv in commissione Cultura della Camera, Gabriele Toccafondi: «Sono anni che manca un percorso formativo abilitante all’insegnamento, a danno di migliaia di giovani. Adesso avanti con lauree abilitanti e concorsi ordinari annuali».

Di diverso avviso il mondo accademico. Per il presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun), Antonio Vicino, «l’anno di tirocinio va fatto una volta vinto il concorso durante anno di formazione e prova». Altrimenti, spiega, si penalizzano gli studenti. A suo giudizio, «se i 60 Cfu vanno conseguiti in parallelo con la magistrale, che da sola prevede 120 Cfu, i ragazzi devono iscriversi ai moduli aggiuntivi, con un esborso economico maggiore e rallentando di almeno un anno il conseguimento della laurea. E se poi non vincono il concorso?», chiede Vicino. Ma anche se si sceglie di inserire i crediti nel corso di studi la sostanza non cambia perché - conclude - si sottrae spazio alle discipline e comunque ci perdono i ragazzi».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©