Fisco e contabilità

Anche l’antiterrorismo in campo nei controlli sulle piante del Pnrr

I Carabinieri del reparto Eversione a caccia dei semi previsti dalle istruzioni Mase

di Gianni Trovati

Si sbaglierebbe a giudicarla una storia minore. Perché la battaglia sul verde urbano del Pnrr che invece di piantare 1,65 milioni di alberi ha sparso solo 2 milioni di semi, raccontata su Nt+ Enti locali & edilizia di mercoledì scorso, è il riassunto perfetto del cortocircuito che la burocrazia della carta può innescare ai danni di chi comunque prova a fare qualcosa. In questo caso le vittime sono le Città metropolitane. Ma il problema, qui sta il punto, va assai oltre la disfida fra semi e piante.

Breve riassunto delle puntate precedenti. Nell’ottobre 2019 il neonato governo Conte-2 approva un decreto legge con le «misure urgenti per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell'aria» («urgenti», tenete a mente questa parola), che stanzia 30 milioni per piantare alberi nelle Città metropolitane. Il decreto attuativo arriva nell’ottobre del 2020, dopo un anno di tira e molla in Conferenza Unificata. E spiega dottamente che piantare un albero è un’attività «complessa e multifunzionale», che deve essere svolta da «un gruppo di progettazione a composizione multidisciplinare», in grado di produrre «relazione tecnica, quadro economico di ripartizione dei costi, planimetrie redatte sulla base di una cartografia georeferenziata in scala nominale, computo metrico» per descrivere «in termini fisici, biologici ed ecologici, podologici e paesistici» le aree da piantumare. Ovvio, perché altrimenti è impossibile stabilire il «collegamento tra le fitocenosi di progetto e la dinamica vegetazionale locale», con un approfondimento che invece è indispensabile per calcolare «la capacità delle specie botaniche utilizzate in termini di assorbimento e stoccaggio della CO2».

Indirizzato alle Città metropolitane, enti drammaticamente sotto organico perché anche se ideate come l’avanguardia delle innovazioni amministrative sono state per anni trattate come le vecchie Province da rottamare, un decreto così poteva collocare una solida pietra tombale su qualsiasi velleità arborea.

Ma l’idea piace, e con il Pnrr i fondi crescono come sequoie: da 30 si passa a 330 milioni, con l’obiettivo di piantare 1,65 milioni di alberi entro la fine del 2022 per arrivare a 6,6 milioni entro il 2024. Moltiplicate le risorse, come capita spesso, si moltiplicano i problemi.

Perché tra avvisi pubblici, istruzioni ministeriali, selezioni e accordi quadro, le convenzioni con le Città metropolitane arrivano in extremis, tra il 5 e il 13 dicembre scorso. Nonostante tutto, le Città vanno avanti. E si trovano ad affrontare qualche piccolo ostacolo.

Primo: senza le convenzioni, c’è il rischio di non ottenere i fondi, e quindi di incappare nel danno erariale per i soldi anticipati in proprio. Secondo: è in corso la peggiore siccità degli ultimi 200 anni, sul mercato 1,65 milioni di piante (delle specie richieste dai bandi) non si trovano, e quando si trovano spesso si seccano poco dopo essere stati piantati.

Dettagli come l’epocale emergenza climatica che proprio il Pnrr prova a combattere non possono certo fermare i controlli, effettuati dai Carabinieri del reparto Criminalità organizzata, Eversione e Terrorismo oltre che dai Forestali, forse perché l’ostinazione delle Città ad andare avanti comunque configura qualche forma di sovvertimento all’ordine costituito. Gli uomini dell’Arma scoprono che invece degli alberi ci sono i semi, come del resto era stato previsto dal ministero dell’Ambiente anche nell’accordo sulle verifiche con la stessa Arma dei Carabinieri. Ma ai fini del Pnrr c’è una «equivalenza sostanziale» fra semi e alberi? La Corte dei conti ne dubita. La Commissione europea non si è ancora pronunciata. Ma, raccontata questa storia, sui rischi del Pnrr non c’è più molto da dire.

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