Personale

Pa, la manovra sblocca i rinnovi contrattuali per 175mila dirigenti

Oggi arriva la pre-intesa sulla definizione delle areeche avvia le trattative

di Gianni Trovati

Il primo obiettivo della sezione dedicata dalla legge di bilancio al pubblico impiego, che nella versione stravolta dal maxi-emendamento occupa ora i commi da 604 in poi, era di spianare la strada al rinnovo dei contratti nazionali. L’obiettivo è centrato.

Oggi all’Aran è in programma la pre-intesa sulla definizione delle aree, che di fatto avvia le trattative per i contratti 2019/2021 dei 175mila dirigenti pubblici (130mila sono medici). A giorni è attesa la firma finale all’accordo per il personale non dirigenziale di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici, dopo la pre-intesa siglata il 21 dicembre. La chiusura delle trattative sul «compartone» si dovrebbe portar dietro in tempi non lunghi (già fra gennaio e febbraio secondo i programmi Aran) l’accordo per enti territoriali e sanità: dossier particolarmente urgente quest’ultimo, perché il contratto porterebbe anche nelle buste paga degli infermieri i 335 milioni di indennità speciale previsti dalla legge di bilancio 2020.Per la scuola si aspetta l’atto di indirizzo del comitato di settore.

Entrambe le mosse, avvio delle trattative per i dirigenti e progressiva chiusura dei negoziati per i dipendenti, sono rese possibili da una manciata di commi nella legge di bilancio.

Nel caso dei dirigenti, il prologo del rinnovo contrattuale rappresentato dalla definizione delle aree era in stallo da molti mesi per il problema della collocazione dei circa 5mila dirigenti professionali, tecnici e amministrativi della sanità (in sigla: Pta).

Nell’ultimo contratto, relativo al 2016/2018, erano accasati fra i dirigenti di regioni ed enti locali, ma una norma (il comma 687 della legge di bilancio 2019, la n. 145/2018) ne chiedeva il trasloco nell’area della sanità, accendendo la ferma opposizione della Fedirets, il sindacato di gran lunga più rappresentativo nella categoria.

Di qui un altro comma inserito nel maxiemendamento alla legge di bilancio, l’881, che rimanda il trasloco al 2024. La trattativa ora può partire.

Nel caso dei dipendenti i commi decisivi si incontrano invece ai numeri 604-606. Sono quelli che distribuiscono i 200 milioni destinati a smuovere i fondi per i premi dei dipendenti pubblici, e affiancati dagli stanziamenti analoghi che dovranno essere messi a disposizione da sanità, università ed enti territoriali.

La norma, insieme ai 95 milioni (comma 612) per accompagnare la revisione degli ordinamenti professionali, attua le indicazioni scritte nel Patto di Palazzo Chigi del 10 marzo per «l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale».

In pratica, ogni ente potrà aumentare il proprio fondo integrativo di una quota proporzionale al finanziamento complessivo. Per capire l’ordine di grandezza si possono prendere a riferimento le Funzioni centrali, che riuniscono appunto ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici. Per loro ci sono a disposizione 110,6 milioni. Ogni anno queste amministrazioni dedicano al fondo 1,16 miliardi. L’aumento si aggirerà quindi nei dintorni del 9,5-10%, anche se in modo molto variegato nei singoli enti.

La prima traduzione pratica è scritta proprio nel contratto che il 21 ha visto arrivare la preintesa. I fondi decentrati crescono nei ministeri per un importo pari allo 0,12% della massa salariale complessiva, nelle agenzie fiscali l’aumento si attesta allo 0,31%, sale allo 0,81% negli enti pubblici non economici e arriva allo 0,91% al Cnel.

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