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Corsi da 60 crediti e sconto per i precari: l’abilitazione dei prof cambia e si fa in tre

Alle due strade per i neolaureati che possono ottenere tutti i «Cfu» e l’abilitazione già nel corso della magistrale

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

l governo è pronto a riscrivere, per la sesta volta in 20 anni, le regole che portano i docenti in cattedra. Dopo Ssis, Tfa, Pas, laurea abilitante per infanzia/primaria, Fit triennale (mai entrato in vigore) ora tocca, a medie e superiori, alle lauree semi-abilitanti: triennale + magistrale (3+2) o a ciclo unico, con l’aggiunta di 60 crediti formativi su materie antro-psico-pedagogiche “acquisibili” negli ultimi due anni di corso. Con il vecchio esame di abilitazione sostituito da una lezione simulata al completamento dei 60 Cfu. A prevederlo è uno schema di decreto legge atteso in uno dei prossimi Consigli dei ministri.

Le tre strade per la cattedra

Se le indiscrezioni venissero confermate gli aspiranti docenti si troverebbero davanti tre strade. La prima: conseguire almeno 30 Cfu (di cui 15 di tirocinio) all’università e partecipare alle selezioni a cattedra, salvo poi completare i restanti 30 Cfu e l’abilitazione con un anno a tempo determinato e part-time. La seconda porta a ottenere 60 Cfu e l’abilitazione (magari durante una seduta di laurea maxi) già durante gli studi, passare il concorso così da svolgere subito l’anno di prova e, previa valutazione positiva, giungere alla conferma in ruolo. La terza riguarda i precari “storici”, cioè con almeno 36 mesi di servizio alle spalle, che possono accedere direttamente al concorso (senza quindi 60 Cfu e abilitazione) e, se passano le prove, buttarsi nell’anno di prova.

I nuovi concorsi annuali

Il progetto - a cui stanno lavorando i ministri dell’Istruzione (Patrizio Bianchi) e dell’Università (Cristina Messa) - rappresenta la seconda gamba della riforma complessiva del reclutamento prevista dal Pnrr, dopo la semplificazione delle procedure concorsuali di metà 2021: oggi i concorsi a cattedra prevedono un solo scritto, al pc, e un orale, alla stregua di tutti gli altri concorsi pubblici riformati dal ministro della Pa, Renato Brunetta (nella scuola l’esordio c’è stato la scorsa estate con la selezione Stem). Sullo sfondo infatti c’è l’impegno di Bianchi ribadito dal Programma nazionale di riforma allegato al Def: arrivare entro il 2024 a 70mila immissioni in ruolo di docenti qualificati e formati.

I nodi da sciogliere

Se l’impianto generale sembra definito restano da limare alcuni dettagli. Ad esempio sui 60 Cfu. Considerando che una magistrale oggi ne prevede 120, è presumibile che i 60 siano aggiuntivi, così come si può immaginare che possano essere conseguiti in parallelo (e con un extracosto) rispetto a quelli “disciplinari”. Altrimenti il percorso si allungherebbe di un anno e la magistrale di fatto diventerebbe triennale. Considerando anche le altre due strade (almeno 30 Cfu e precari storici) per ogni classe di concorso si formeranno due graduatorie: una relativa ai vincitori in possesso dei 60 Cfu e dell’abilitazione specifica sulla classe di concorso; l’altra sui posti residui per chi ha superato il concorso ma aveva solo 30 Cfu. Come detto, questi ultimi dovranno fare un anno di lezione in part time così da arrivare a 60 Cfu e abilitarsi; poi svolgeranno l’anno di prova e, una volta superato, saranno confermato in ruolo. Mentre i primi si limiteranno solo a questo step.

Formazione e carriera sprint

Una volta in ruolo il percorso si uniforma, con annessa una doppia novità. La prima è la formazione continua “on the job”, resa obbligatoria con la riforma del 2015 ma in larga parte “dribblata” dagli insegnanti. Per incentivarli nel progetto del governo si ipotizza una «progressione stipendiale accelerata» riservata ai prof che frequentano con profitto, e su base volontaria, corsi selezionati e certificati dalla Scuola di alta formazione del ministero dell’Istruzione (sempre prevista dal Pnrr). In odore di modifica è anche la mobilità, con la previsione che i futuri vincitori di concorso possano chiedere il trasferimento, ma anche l’assegnazione e utilizzazione provvvisoria in altro istituto, solo dopo tre anni di servizio nella scuola a cui sono stati assegnati. Un nuovo dietrofront dunque, rispetto alle scelte di pochi mesi fa, che consentono lo spostamento dopo l’anno di prova.

Il caos attuale

Che ci sia bisogno di riordinare il sistema lo dicono i numeri. Nelle Gps, le graduatorie provinciali per le supplenze, ci sono oltre 600mila non abilitati (mentre i prof di ruolo, tra posti comuni e sostegno, sono circa 850mila) e si contano oltre 120 classi di concorso. Senza dimenticare l’età media elevata della nostra classe docente: alla secondaria il 62% è un over 50. Con la messa a disposizione (Mad), poi, sono ormai anni che accede alle supplenze personale non abilitato. Last but non least la scorciatoia dell’abilitazione all’estero (spesso in Romania o Spagna) da farsi riconoscere in Italia, che neanche il Covid ha arrestato.

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