Così norme e sanatorie indeboliscono i dirigenti della pubblica amministrazione
Quasi l'80% dei dirigenti pubblici svolgono compiti da funzionario. Serve una riflessione su come reclutare la dirigenza della Pa e sulle competenze che questa deve avere
Emergenza pandemica e Pnrr sono le giustificazioni alla base di tanti tentativi di interventi a gamba tesa sull'ordinamento. L'ultimo, fallito (per ora) due volte, è quello di stabilizzare gli incarichi dirigenziali nei ministeri e nelle regioni riconosciuti ex articolo 19 comma 6 del Dlgs 165/2001 a dipendenti di altre Pa. La deroga ai concorsi pubblici con riserve o peggio con trasformazioni del rapporto a tempo indeterminato non è nuova. Basti pensare alle tante stabilizzazioni avvenute dalla legge 296/2006 ad oggi. Con la prassi, paradossale ma da nessuno contestata, di autorizzare i contratti a termine oltre i 36 mesi e di prevedere come requisito per la stabilizzazione 36 mesi di contratto.Nel caso della dirigenza il danno può essere maggiore. È vero che per anni i concorsi sono stati bloccati e che il conferimento all'esterno è stato utilizzato per promuovere funzionari interni. Ma nell'emendamento sulla dirigenza non c'era nemmeno un requisito di durata per giustificare la riserva come strumento per valorizzare una lunga esperienza. Ancora una volta si prova a svilire la funzione dirigenziale.
Va quindi effettuata una riflessione su come reclutare la dirigenza della Pa e sulle competenze che questa deve avere. Una riflessione non facile se quasi l'80% dei dirigenti delle Pa centrali svolgono per lo più compiti da funzionario.La dirigenza pubblica è stata oggetto di tante riforme tentate o approvate. L'approccio ha riguardato il rapporto di incarico con la politica e di rado il rapporto con la gestione e le prerogative. Ha riguardato, cioè, il reclutamento dal punto di vista formale, senza riflettere su poteri e competenze. Nessun obbligo di aggiornamento continuo o miglioramento delle competenze. Quale dirigenza servirà nei prossimi anni? Più preparata, competente, capace di affrontare i problemi e le sfide, orientata ai risultati. Caratteristiche che non si impongono per legge e non si individuano con i quiz. Una dirigenza autorevole e qualificata non si ottiene per legge. Occorre che abbia una pluralità di esperienze e quindi competenze gestionali. Anche la nomina a dirigente generale dovrebbe tenerne conto. Molti dirigenti hanno esperienze mono amministrative e una cultura prevalentemente, se non esclusivamente, giuridica. La pluralità di esperienze è vista sempre in modo negativo, come la formazione economica o da analista delle politiche pubbliche.
Uscire e poi rientrare nell'amministrazione non viene valorizzato, anzi. Una dirigenza nuova, autorevole e preparata si forma con l'aggiornamento continuo sul campo. L'abolizione del ruolo unico nel 2002 è stata probabilmente un errore: se ha dato certezza sul diritto all'incarico, ha ingessato le carriere. La dirigenza dei prossimi anni dovrà avere invece "soft skills" pesanti. L'espressione può apparire paradossale, ma dovrebbe far capire che i manager pubblici dovranno operare in un contesto di alta incertezza, di cambiamento continuo, di scarsità di risorse e con rapidità di intervento. Per questo non servono tanti dirigenti, ma dirigenti autorevoli.Oggi c'è una politica fragile e una dirigenza debole. Questa combinazione porta alla paralisi generando sfiducia dei cittadini nelle istituzioni. Sarà inutile, pertanto, domandarsi perché la Pa non è attrattiva sul mercato del lavoro rispetto ai talenti e alle competenze qualificate, se, alle basse retribuzioni e agli asfittici percorsi di carriera, si aggiunge la pessima reputazione e preparazione del datore di lavoro.