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Zangrillo: «Stipendi Pa, aumenti al 9% da sbloccare dopo giugno»

Il ministro per la Pa: «Sui contratti no a una stasi infinita. Aspettiamo i referendum, poi bisogna agire o soldi in busta solo nel 2026»

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di Gianni Trovati

Prima si è aspettato il rinnovo delle Rsu del pubblico impiego con le elezioni di aprile. Ora il quadro si ferma fino ai referendum su lavoro e cittadinanza dell’8 e 9 giugno per non alzare ancora la temperatura dello scontro politico-sindacale. «Ma l’attesa non può essere infinita - avverte Paolo Zangrillo -, dopo le urne di giugno porterò la questione in consiglio dei ministri per valutare un’erogazione unilaterale». Cioè, in pratica, aumenti in busta paga dati ai dipendenti pubblici direttamente dal Governo, utilizzando i fondi a disposizione ma senza passare dai contratti.

Il ministro per la Pa è arrivato ieri a Trento reduce dall’ultimo capitolo, il più acceso fin qui, della polemica con Cgil e Uil sul loro «no» alle intese sui rinnovi nel pubblico impiego. Ad accenderla è stata la riunione di giovedì all’Aran sul contratto 2022/24: «Cgil e Uil fanno politica sulla pelle dei lavoratori», aveva detto Zangrillo con una dichiarazione che le due sigle interessate hanno voluto «rispedire al mittente» giudicandola irrispettosa.

A Trento Zangrillo ha tenuto il punto, ricordando «i rinnovi al 3,4% firmati nel 2016 con un Governo di centrosinistra anche se l’inflazione maturata nel periodo era molto maggiore» e sostenendo quindi che «la posizione assunta oggi da Cgil e Uil non è spiegabile solo in termini negoziali»: oggi gli aumenti contrattuali sul tavolo sono del 6% ma nei calcoli governativi «con lo sblocco dei fondi accessori si arriva intorno al 9%».

Al di là del botta e risposta, è però un doppio ordine di ragioni ad alimentare l’urgenza su cui il titolare di Palazzo Vidoni ha cominciato a insistere con intensità crescente, in un quadro che vede sanità, enti locali e istruzione ferme al 2022/24 mentre nel bilancio pubblico ci sono le risorse per le due tornate successive.

Il primo è di ordine immediatamente pratico. «Tra la firma dell’intesa e l’entrata in vigore dei contratti - spiega Zangrillo - passano circa quattro mesi per le verifiche da parte di Ragioneria generale e Corte dei conti, per cui se non sblocchiamo il quadro entro l’estate gli aumenti potranno arrivare solo nel 2026». Ma nemmeno troppo sullo sfondo resta uno snodo più sistemico, che alla platea trentina il ministro squaderna con trasparenza: «Dall’Irpef sul ceto medio alle pensioni - ragiona - il Governo ha molte urgenze, e non troverei sorprendente che dopo aver dedicato al pubblico impiego 20 dei 54 miliardi delle ultime due manovre a un certo punto il ministro dell’Economia mi chiedesse: ma quei soldi li usate?». Il rischio, insomma, è di trasformare risorse oggi disponibili in futuribili «pagherò», per il dirottamento dei fondi verso altre misure in cambio della promessa di compensazioni successive.

Su un terreno puramente politico, la possibilità di azionare in prima persona la leva degli aumenti può essere attraente per le sue ricadute di consenso personale. Ma sul punto Zangrillo è netto: «L’erogazione unilaterale resta l’extrema ratio, perché farebbe saltare tutte le nuove regole contrattuali che sono cruciali».

Dai capitoli ordinamentali dei contratti passa del resto una fetta importante della trasformazione della Pa che il Governo prova a perseguire anche con il Ddl sul merito, quello che disegna percorsi di carriera alternativi alla via principale del concorso pubblico. Dopo l’esame in consiglio dei ministri a metà marzo, la riforma è uscita dai radar del dibattito pubblico per entrare nel negoziato con le Regioni. «È stato un confronto con osservazioni costruttive - spiega Zangrillo -, e ora siamo pronti a portare il testo in Parlamento».

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