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A riposo con opzione donna, verso requisiti più soft

Entro marzo il decreto per allentare la stretta della legge di Bilancio

di Marco Rogari

La priorità è allentare la stretta su opzione donna con un decreto destinato a essere varato entro metà marzo. Che sulla base dell’ultima ipotesi al vaglio del ministero dell’Economia, insieme a quella della cosiddetta “proroga secca”, potrebbe consentire l’uscita a poco più di 13mila lavoratrici, 10mila in più di quelle aventi diritto con le misure restrittive della legge di bilancio, fissando la soglia anagrafica a 59 anni e scendendo a 58 per quattro specifiche categorie tra cui le caregiver, le invalide civili e le “licenziate”. Ma il governo comincia anche a valutare l’orizzonte su cui collocare l’intervento pensionistico correttivo della legge Fornero, sul quale è stato avviato il confronto con le parti sociali. E i vincoli di finanza pubblica così come la non facile dialettica con Bruxelles sul tema della previdenza sembrano lasciare spazio a una riforma inizialmente in versione “light”. Che dovrebbe partire dalla separazione dell’assistenza dalla previdenza e dal rilancio della pensioni integrative.

La prima risposta che si attendono i sindacati è comunque quella su opzione donna. Il ministro del Lavoro, Marina Calderone, fin dal varo della manovra si è impegnata a correggere l’attuale meccanismo, che consente l’uscita a 60 anni (con 35 anni di versamenti il ricalcolo contributivo dell’assegno), con lo sconto di un anno con un figlio e di due anni con più figli, solo per alcune categorie, limitando la platea potenziale nel 2023 a 2.900 lavoratrici. Una significativa riduzione del bacino, visto che dall’ultimo monitoraggio dell’Inps emerge che lo scorso anno (quando il pensionamento era consentito con 58 anni, 59 per le”autonome”) le uscite con opzione donna sono state 23.812.

La soluzione preferita dal ministero del Lavoro resta quella della “proroga secca” dei “requisiti 2022”, magari con qualche eccezione. Ma questa misura, che resta sul tavolo, non appare compatibile con i paletti fissati dal Mef. Che sta ora valutando anche una proposta alternativa, congegnata sempre al ministero del Lavoro su input del sottosegretario Claudio Durigon. In questo caso l’uscita verrebbe garantita con 59 anni, che scenderebbero a 58 per quattro specifiche categorie, a partire da quelle indicate dall’ultima legge di bilancio: caregiver, lavoratrici con invalidità civile pari o superiore al 74% o ”licenziate”. Con queste soglie la platea salirebbe a poco più di 13mila donne interessate per un costo di circa 90 milioni il primo anno. Che però potrebbe salire a 240 e 300 milioni nel secondo e nel terzo anno. Ed è proprio questo lo scoglio che dovrà essere superato nel corso dell’istruttoria tecnica avviata a via XX settembre. E il Mef si muove con cautela affrontando gli scenari della possibile riforma delle pensioni.

L’obiettivo resta quota 41 “secca” ma solo a fine legislatura. Nel frattempo scatteranno gradualmente alcune misure mirate partendo dalla separazione dell’assistenza dalla previdenza, chiesta a gran voce anche dai sindacati. Un’operazione che potrebbe aprire qualche spazio per altri interventi perché comporterà una sorta di riclassificazione della spesa pensionistica. Nel recente rapporto di “Itinerari previdenziali”, Alberto Brambilla, ha evidenziato che nel 2021 escludendo gli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e Gias dei dipendenti pubblici (23,257 miliardi in totale), l'incidenza della spesa previdenziale sul Pil sarebbe scesa al 12,11%.

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