Amministratori

Accesso civico, legittimo il diniego se la Pa non dispone dei dati richiesti

Il recupero degli atti non può comportare un lavoro eccessivo per l'amministrazione

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di Stefano Usai

È possibile negare l'accesso civico generalizzato nel caso in cui l'istanza riguardi atti/dati non detenuti dalla pubblica amministrazione e, il loro recupero, implichi un onere lavorativo sproporzionato. In questi termini la pronuncia del Consiglio di Stato, n. 6220/2021.

L'istanza
Il Consiglio di Stato, ha definito l'ambito oggettivo di esercizio del diritto di accesso civico generalizzato. La fattispecie è disciplinata nel secondo comma dell'articolo 5 del decreto legislativo 33/2013 ed è finalizzata al cosiddetto controllo sociale dell'attività della pubblica amministrazione, che consente - con pochi limiti predefiniti (successivo articolo 5-bis) -, l'accesso a tutti i dati/atti detenuti.
L'appellante ha impugnato il provvedimento di primo grado (Tar Lazio, sentenza n. 4381/2020) che ha confermato il diniego all'accesso con particolare riguardo «al codice fiscale e alla partita Iva degli enti gestori dell'accoglienza ai migranti, e di ogni altro atto antecedente, presupposto, successivo o comunque connesso».
L'istanza di accesso era risultata soddisfatta in gran parte al netto dei dati citati sulla base di precise motivazioni addotte dal responsabile della prevenzione e anticorruzione. In primo luogo la non disponibilità di questi dati (che devono essere raccolti dalle Prefetture e poi sintetizzate in una relazione annuale del Parlamento).
La raccolta, preventiva di questi dati avrebbe, inoltre, richiesto un importante impegno lavorativo (ben 40 giorni) con conseguente aggravio del lavoro della struttura interessata.
D'altra parte, l'appellante denuncia la violazione delle proprie prerogative sull'accesso civico generalizzato.

La sentenza
Il giudice non ha condiviso le censure sollevate e si è conformato a quanto già espresso dall'Anac con le linee guida/indirizzi in tema di applicazione della nuova fattispecie di accesso civico.
Il Consiglio di Stato ha chiarito in primo luogo che ogni forma di accesso, compresa quella in esame, non può che muoversi nell'ambito «delimitato dalla disponibilità delle informazioni richieste». Inoltre l'accesso agli atti può essere negato nel caso in cui l'ostensione comporti, da parte della pubblica amministrazione, un impegno eccessivamente oneroso.
Più nel dettaglio, l'accesso può essere escluso «ogni qualvolta l'amministrazione debba impegnarsi in attività eccessivamente onerose e paralizzanti dell'ordinaria attività amministrativa, contrarie al principio di buon andamento ed economicità dell'azione amministrativa, per la raccolta di informazioni di cui non dispone direttamente e immediatamente e che, in ogni caso, sono già pubbliche». Assume particolare rilevanza l'ultimo inciso ovvero il riferimento a dati/informazioni di cui la pubblica amministrazione non dispone.
Nello stesso senso, con la delibera n. 1309/2016, l'Anac ha puntualizzato che la possibilità di negare l'accesso civico generalizzato incontra ipotesi tassative e limitate, e che uno dei casi che legittima una risposta negativa è data proprio dalla indisponibilità dei dati/atti/informazioni richieste.
Nella delibera si legge infatti che «l'amministrazione non è tenuta a raccogliere informazioni che non sono in suo possesso per rispondere a una richiesta di accesso generalizzato, ma deve limitarsi a rispondere sulla base dei documenti e delle informazioni che sono già in suo possesso».
Mentre, pur in presenza di richiesta di un numero cospicuo di documenti/informazioni la Pa «è tenuta a consentire l'accesso generalizzato» salvo che «la richiesta risulti manifestamente irragionevole». Ovvero risulti tale «da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell'amministrazione».
Queste circostanze, ha chiarito l'autorità anticorruzione, adeguatamente riportate nel provvedimento di rifiuto «devono essere individuate secondo un criterio di stretta interpretazione, e in presenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio e immediato il buon funzionamento dell'amministrazione».
A queste indicazioni, quindi, ha aderito il giudice puntualizzando come sia possibile «respingere richieste manifestamente onerose o sproporzionate, ovvero tali da comportare un carico irragionevole di lavoro senza nulla aggiungere alle finalità di trasparenza e al diritto all'informazione dei cittadini che rappresentano la ratio dell'articolo 5, comma 2, Dlgs 33/2016 (Consiglio di Stato n. 60/2021)».

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