Amministratori

Accesso civico, non sono addebitabili i costi per il personale

Le spese che eccedono il mero costo di riproduzione, vanno finanziate attraverso la fiscalità generale

di Pietro Alessio Palumbo

La garanzia del diritto di accesso civico costituisce un vero e proprio compito che la legge pone a carico delle amministrazioni pubbliche a garanzia della trasparenza che è un valore pubblico ancor prima di tradursi in diritto individuale. Pertanto, ha chiarito il Tar Piemonte con sentenza 332/2021, gli oneri conseguenti all'esercizio di questo diritto, per la parte che eccede il mero costo di riproduzione, vanno finanziati attraverso la fiscalità generale al pari di quanto avviene per gli altri diritti, come quello di voto, correlati al funzionamento del sistema democratico. Non è quindi consentito trasferirli sul cittadino istituendo una sorta di tassa a copertura delle spese del personale impiegato nel disbrigo delle relative pratiche.

No a costi per il personale
Il regime dei costi legati al diritto di accesso è stato a lungo dibattuto. Con particolare riguardo all'accesso civico la relativa disciplina ha disposto che il rilascio di dati o documenti in formato elettronico o cartaceo è gratuito, salvo il rimborso del costo effettivamente sostenuto e documentato dall'amministrazione per la riproduzione su supporti materiali. In proposito nel 2019 il ministero della Pubblica amministrazione ha precisato che possono essere addebitati solo i costi strettamente necessari per la riproduzione di informazioni e carteggi richiesti. Il costo rimborsabile non include quello per il personale impiegato nella istruttoria delle richieste di accesso, essendo quest'ultimo un obbligo che grava sulla collettività che intenda dotarsi e avvalersi di una pubblica amministrazione effettivamente moderna, trasparente e aperta alla dialettica con i cittadini.

…ma senza «abusi»
In ogni caso, ha evidenziato il Tar piemontese, sia la prassi che la giurisprudenza hanno individuato adeguate salvaguardie dal rischio di una possibile lievitazione dei costi dovuti alla gestione della trasparenza «reattiva» per il sistema pubblico. Al riguardo nel 2016 l'autorità nazionale anticorruzione ha infatti previsto che l'amministrazione è tenuta a consentire l'accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti e informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell'ente. E queste circostanze, adeguatamente motivate nel provvedimento di rigetto della richiesta d'accesso, devono essere individuate secondo criteri di interpretazione stringente, sempre in presenza di condizioni oggettive e suscettibili di pregiudicare in modo serio, concreto e immediato il fluido andamento amministrativo della pubblica amministrazione coinvolta. A questo riguardo va precisato che, indipendentemente dalla forma di rappresentazione, possono costituire oggetto di accesso civico esclusivamente informazioni e dati immediatamente ostensibili e non richiesti in forma «massiva» cioè tale da ingolfare il regolare svolgimento dei compiti del personale e l'ordinaria organizzazione degli enti destinatari. Il fine è quello di arginare sia atteggiamenti meramente «esplorativi», sia malcelate richieste (gratuite) di forniture o servizi di elaborazione dati. In altre parole con l'obiettivo di evitare forme di «abuso» del diritto d'accesso da parte dei cittadini, l'ordinamento legittima il rigetto di richieste documentali sproporzionate, che in unica soluzione o mediante la proposizione di più istanze in sequenza, possano ostacolare la regolare gestione della pubblica amministrazione e comportare l'aggravio irrazionale dei costi d'impiego delle risorse umane.

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