Appalti

Appalti, senza attuazione vince solo la deroga

Alla carenza attuativa si associa la nevrosi legislativa: in tre anni e mezzo 547 modifiche al codice con 28 provvedimenti diversi

di Mauro Salerno e Giorgio Santilli

Mancano all’appello ancora tutti i provvedimenti attuativi chiave del codice appalti rivisto radicalmente tre volte negli ultimi tre anni e mezzo. Mancano gli architravi che avrebbero potuto dare stabilità al quadro normativo ordinario e favorire un’evoluzione postitiva del settore nel senso di una modernizzazione: il regolamento unico che già dal 2019 avrebbe dovuto sostituire le linee guida Anac; un sistema di qualificazione che avrebbe dovuto ridurre le 40mila stazioni appaltanti; la digitalizzazione di tutte le procedure e l’interoperabilità delle banche dati; una semplificazione delle procedure ordinarie, a partire dalle autorizzazioni archeologiche e ambientali. Tutti decreti rilanciati con vari annunci anche dall’attuale ministra delle Infrastrutture, Paola De Micheli. Dei 62 provvedimenti attuativi previsti dal codice del 2016 solo la metà ha visto la luce e molti sono stati poi congelati. Ma sulle grandi scelte riformatrici di fondo - che hanno resistito alle revisioni del codice - nulla si è mosso e sono più i ripensamenti che i traguardi raggiunti.

Con gli appalti si va oltre l’attuazione bloccata o a rilento che sta danneggiando la prospettiva di molti settori economici in un mondo che corre veloce. Qui l’attuazione fa mezzo passo avanti e tre indietro. Di volta in volta si cercano capri espiatori, ma il disegno non avanza e anzi si contorce.

In un paradosso anche numerico, negli appalti la mancata attuazione delle riforme-chiave (si veda il tabellone a lato) si accompagna all’instabilità legislativa. In tre anni e mezzo sul codice si sono abbattute 547 modifiche con 28 nuovi provvedimenti normativi.

Tre leggi hanno apportato modifiche profonde e a largo raggio. Il decreto Correttivo (governo Gentiloni) approvato nel maggio 2017 ha impallinato il codice con 441 correzioni. Poi il decreto Sbloccacantieri (Conte 1), varato nel 2019 dal Conte 1 con 51 modifiche. E alla fine il decreto Semplificazioni, qui siamo al Conte 2, luglio 2020. Altre 21 modifiche, in aggiunta a un carico di deroghe e nuove procedure.

Secondo altri numeri forniti dall’Ance, dal 1994 a oggi il settore è stato bersagliato da 500 provvedimenti legislativi e normativi. Si è passati da otto provvedimenti l’anno negli anni ’90 ai quasi 30 nell’ultimo decennio. L’anno record è stato il 2019 - a cavallo fra il Conte 1 e il Conte 2 - con 39 interventi sul settore. Nevrosi legislativa senza attuare nessun disegno. Negli ultimi cinque anni hanno governato tutte le forze politiche (tranne Forza Italia e Fratelli d’Italia), nessun disegno che sia stato capace di arrivare fino in fondo e imporsi sulla realtà. La nevrosi di una politica che vive di guerre e non riesce mai a trovare un minimo comun denominatore.

Restano sospesi in aria anche i più recenti decreti Sbloccacantieri (22 decreti previsti, meno di una decina sdoganati) e il decreto Semplificazioni, zeppo di scorciatoie ma anche di qualche novità da condurre in porto, come il Durc di congruità, il fondo per la prosecuzione delle opere o le semplificazioni in campo ambientale. Nessuna di queste è stata realizzata in concreto, nonostante il Dl sia stato varato a luglio all’insegna della grande urgenza.

La nomina dei commissari straordinari - fulcro dell’intervento derogatorio del Semplificazioni - ha fatto un passo avanti in settimana, con l’indicazione dei nomi. Vedremo se sono quelli giusti per rompere la cappa che imprigiona le grandi opere. Certo, non c’è discontinuità: vengono proprio da quei mondi che alla cappa hanno contribuito. Intanto, l’indicazione di Palazzo Chigi arriva dopo sette mesi di palleggiamento di una lista annunciata già a luglio e il decreto - che doveva essere operativo entro il 2020 - non lo sarà prima di un paio di mesi, considerando pareri parlamentari (non necessariamente favorevoli), le intese con le Regioni, i chiarimenti mancanti (i compensi, per esempio) e le opere escluse dalla lista.

Non tutto è immobile. Quando qualcosa di utile si è cercato di fare, come nel caso del regolamento unico, affidato al sottosegretario Salvatore Margiotta, il tentativo si è fermato per le modifiche al quadro legislativo a monte e per l’iter approvativo. La commissione ministeriale incaricata di mettere a punto il testo ha terminato i lavori lo scorso maggio. Poi, complici la pandemia e la nuova ondata di Semplificazioni, il regolamento si è inabissato. La bozza è all’attenzione di Raffaele Greco, presidente della commissione, ora nella struttura tecnica di missione di Porta Pia. Se e quando sarà scongelato, il regolamento dovrà percorrere ancora un lungo cammino. Prima i concerti, con un delicato passaggio all’Economia, che negli ultimi tempi ci tiene a mettere bocca non formalmente sulle misure per gli investimenti pubblici, dopo anni di disattenzione e freni; poi la Conferenza unificata, infine il Consiglio di Stato e il passaggio in Consiglio dei ministri. Insomma ancora un percorso di mesi, se non di anni.

Il mercato ormai vive (male) con questa incertezza di fondo. E si vede. Non c’è settore economico che possa rimanere in piedi di fronte a un ottovolante normativo capace di queste giravolte. Figuriamoci un comparto come quello delle costruzioni, nell’occhio del ciclone da trenta anni, e un drastico peggioramento negli ultimi dieci.Di annunci (normativi) che non si traducono in realtà sono lastricati i cantieri italiani. L’ultimo esempio è il caso del subappalto. Neanche le sonore bocciature arrivate da Commissione e Corte Ue hanno convinto il Governo a prendere di petto il problema. Finora solo annunci e l’apertura di un tavolo tecnico.

Per fortuna, la mancata attuazione si porta via anche qualche idea strampalata che avrebbe ulteriormente appesantito il settore senza risolvere nessun problema. A un certo punto (Conte 1) si era addirittura pensato che per risolvere l’atavico problema di carenza di progetti che blocca sul nascere qualunque programma di rilancio infrastrutturale o di messa in sicurezza del territorio, fosse una buona idea dar vita a una Centrale di progettazione pubblica dove far confluire tutte le richieste di progetti avanzate dagli enti locali privi di competenze tecniche. Il carrozzone è stato definanziato, per fortuna, come non è mai nata la società pubblica Italia Infrastrutture Spa, introdotta dal decreto Sbloccacantieri «per la celere cantierizzazione delle opere pubbliche».

In assenza di un quadro certo e di un disegno riformatore concreto si affacciano i due estremi che finora erano stati solo enunciati e che via via stanno diventando le uniche possibilità concrete. Da una parte il disegno vagheggiato da alcuni di una normativa per gli appalti limitata alle sole direttive Ue. Dall’altra - ed è la prospettiva reale di questo momento - un Paese di commissari e stazioni appaltanti che agiscono in deroga a ogni norma. Una groviera. Ai tempi dell’Expo, almeno, c’era il contropotere di Raffaele Cantone per garantire trasparenza e legalità. Fra deroghe estreme come quelle dello Sbloccacantieri, attuazioni mancate, normative assenti, indebolimento dell’Anac e appalti messi nelle mani discrezionali di singoli commissari, sono molti - anche fra i costruttori - quelli che cominciano a temere il ritorno di Tangentopoli e un nuovo intervento purificatore della magistratura. Uno scenario che non aiuterà di certo a velocizzare le infrastrutture di cui il Paese ha un enorme bisogno e spazzerebbe via definitivamente per sempre un intero settore.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©