Urbanistica

Aree tutelate, dal 29 aprile le nuove regole sulla demolizione e ricostruzione

La misura inserita nel Dl Bollette è ancora insufficiente a favorire il ricambio del patrimonio edilizio

di Matteo Peverati (*) e Eleonora Lavelli (*)

Lo scorso 29 aprile è entrata in vigore la legge 27 aprile 2022, n. 34, rubricata "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17, recante misure urgenti per il contenimento dei costi dell'energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per il rilancio delle politiche industriali". In sede di conversione in legge, per quanto qui interessa, all'articolo 28 del d.l. n. 17/2022 è stato inserito il comma 5-bis, il quale introduce due specifiche modifiche al decreto Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (all'articolo 3.1.d, sesto periodo, e all'articolo 10.1.c) in tema di interventi di ristrutturazione su immobili vincolati sotto il profilo paesaggistico e dei titoli abilitativi edilizi necessari per realizzarli.

Più in particolare, gli interventi di demolizione e ricostruzione di «edifici situati in aree tutelate ai sensi dell'articolo 142» del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (ossia quelle tutelate ex lege), che comportino modifiche a sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche e prevedano incrementi di volumetria:
- possono essere classificati come ristrutturazione edilizia (e non come nuova costruzione);
- sono subordinati a permesso di costruire (o a s.c.i.a. a quest'ultimo alternativa).

Nello specifico, gli immobili di interesse paesaggistico ai sensi dell'articolo 142 del d.lgs. 42/2004 includono, tra l'altro, gli edifici situati:
- entro 300 metri dalla costa del mare;
- entro 300 metri dalla sponda dei laghi;
- entro 150 metri dalla sponda di fiumi, torrenti e corsi d'acqua;
- sopra i 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e i 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
- nei parchi e nelle riserve nazionali o regionali e nelle zone umide;
- nelle zone gravate da usi civici e nelle zone di interesse archeologico.

Questa novità segna un punto di svolta nell'accesa diatriba che ha interessato gli interventi di demolizione e ricostruzione sugli immobili vincolati a partire, soprattutto, dall'entrata in vigore dell'articolo 10.1.b) del decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020 (c.d. "decreto semplificazioni"). Difatti, nel 2020 il Legislatore, cambiando decisamente rotta rispetto agli interventi normativi che nel corso degli anni hanno interessato la definizione di ristrutturazione edilizia, ha inteso includere nella categoria della nuova costruzione gli interventi di demolizione e successiva ricostruzione con «diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente» e con «incrementi di volumetria» di edifici:
a) «sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42»;
b) «ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico».

Tale previsione ha comportato una frattura in seno alle istituzioni nonché un acceso dibattito tra le associazioni di categoria, oltre che notevoli difficoltà per operatori privati e cittadini, per i quali - da un giorno all'altro - è diventato notevolmente più complicato (e oneroso) operare e intervenire sul patrimonio edilizio vincolato e magari ammalorato (i cui interventi di ricostruzione, per essere considerati ristrutturazione edilizia, devono prevedere non solo - come in passato - il mantenimento della sagoma, ma anche dei prospetti, del sedime e delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente, nonché non comportare incrementi volumetrici). In questi mesi, infatti, non sono mancati i pareri e le circolari (da parte, ad esempio, del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, del Ministro per la Pubblica Amministrazione, del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e di Anci) che suggerivano un'interpretazione lasca della suddetta disciplina, sostenendo che questa trovi applicazione con riferimento ai soli immobili sottoposti a vincolo culturale e non anche agli immobili situati in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.

In punto di diritto, però, occorre tener presente che un consolidato orientamento giurisprudenziale ha ricompreso nel riferimento agli «immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42», di cui all'ultimo periodo dell'articolo 3.1.d) del d.p.r. 380/2001, non solo i beni cultuali (vincolati ai sensi della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio) ma anche i beni paesaggistici (vincolati ai sensi della Parte Terza del medesimo Codice). In proposito, «la locuzione "immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42" non può che essere inteso nel senso ampio, non coincidendo con il singolo edificio ma comprendendo anche le aree e i terreni oggetto di tutela (in termini: Cass. Pen., Sez. III, 8.3.2016 n. 33043). Più precisamente, vista la genericità della previsione, non possano operarsi distinzioni a seconda della fonte e della natura del vincolo; ne consegue che essa si applicherà anche nei casi di beni vincolati ai sensi della Parte terza del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché nei casi in cui detti vincoli comportino un regime di inedificabilità non già assoluta ma solo relativa» (T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 5 dicembre 2017, n. 772).

Recentemente, è stato ritenuto che «dal confronto tra il tenore letterale della norma attualmente vigente e quello antecedente alla modifica apportata nel 2020, emerge con chiarezza che, se in precedenza l'intervento di demolizione e ricostruzione costituente ristrutturazione edilizia consentita richiedeva il rispetto della sagoma originaria solamente con riferimento agli "immobili sottoposti a vincoli ai sensi del D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42", adesso, per effetto della novella, il medesimo intervento è qualificabile come ristrutturazione edilizia - a patto di mantenere inalterata non solamente la sagoma dell'edificio preesistente, ma anche prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria - anche per tutti gli "immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42". In altri termini, lo scarto tra le due normative si apprezza proprio dal punto di vista dell'ambito materiale di applicazione del divieto di apportare, con interventi di demolizione e ricostruzione, alterazioni alla sagoma, ai prospetti e alle caratteristiche dell'edificio preesistente, divieto prima limitato solo agli immobili soggetti a vincoli e, per effetto della novella, adesso generalizzato a tutti gli immobili variamente soggetti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali» (Tar Lazio-Roma, 28 marzo 2022, n. 3488).

A quasi due anni di distanza, il Legislatore è tornato (solo in parte) sui propri passi e ha modificato (in maniera ancora troppo modesta) l'infelice previsione introdotta dall'articolo 10.1.b) del decreto legge n. 76 del 16 luglio 2020. Dall'entrata in vigore della legge di conversione, dunque, i soli immobili di interesse paesaggistico ex lege (sopra richiamati e di cui all'articolo 142) possono essere sottoposti, previo ottenimento del necessario titolo abilitativo (permesso di costruire o s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire) e della necessaria autorizzazione paesaggistica, a ristrutturazione edilizia mediante demolizione e successiva ricostruzione, senza l'obbligo di mantenimento nemmeno della sagoma. Continuano, invece, ad essere classificati come nuova costruzione gli interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano incrementi volumetrici o che possiedano sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche diversi rispetto all'immobile preesistente, inerenti a edifici soggetti a tutela ai sensi del citato d.lgs. 42/2004 (tra cui quelli gravati da vincolo culturale o da vincolo paesaggistico derivante da provvedimento dichiarativo del notevole interesse pubblico, ma, come visto, non da vincolo ex lege) e a edifici ricadenti nei centri storici (salvo che, per questi ultimi casi, norme di legge o degli strumenti urbanistici non prevedano diversamente).

Occorre, però, che il Legislatore renda semplice e percorribile la riqualificazione del parco immobiliare nazionale, perché non può esistere rigenerazione urbana senza demolizione del patrimonio edilizio vetusto, energivoro e ammalorato, anche (e, talvolta, soprattutto) nei centri storici. La scelta di rendere particolarmente complesso procedere alla riqualificazione degli immobili vincolati (nonché di quelli ricadenti nel centro storico) si rivela quindi ingiustificata, controproducente e contraria allo spirito del d.l. 76/2020 anche tenuto conto che i beni paesaggistici e culturali sono già adeguatamente tutelati dal procedimento autorizzativo per essi già specificatamente previsto.

(*) Belvedere Inzaghi & Partners - Bip

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