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Atlantia, storico addio ad Autostrade: ok dei soci all’offerta di Cdp e fondi

Si chiude la fase di incertezza legata al crollo del Ponte Morandi

di Laura Galvagni

l 9 marzo del 2000 la cordata guidata dai Benetton rilevava il controllo di Autostrade per l’Italia, comprandone il 30% dall’Iri. Ieri, 21 anni dopo, l’assemblea di Atlantia ha di fatto deliberato il ritorno della concessionaria in mani pubbliche, approvando con una maggioranza dell’86,86%, su un capitale presente pari al 70,39%, la cessione del controllo a Cdp-fondi.

La strada ormai è tracciata: il consorzio composto da Cassa, Blackstone e Macquarie rileverà l’88% di Aspi per 9,3 miliardi (cifra soggetta poi a vari, potenziali aggiustamenti tra earn out e garanzie) mentre la holding controllata dai Benetton cercherà di dare il via a una nuova fase della propria storia, che sarà caratterizzata da una “asset rotation” sempre focalizzata sulle infrastrutture ma con una spinta ancora maggiore su tecnologia e sostenibilità.

Quello di ieri è stato insomma un passaggio chiave, quasi storico. Certamente ben accolto dalla Borsa (dove il titolo è balzato del 2,8% a 16,09 euro), perché di fatto chiude due anni e mezzo di profonda incertezza sia per Atlantia sia per Autostrade per l’Italia dopo che, il 14 agosto 2018, il crollo del Ponte Morandi ha aperto un durissimo scontro con il Governo culminato con le ripetute minacce di revoca della concessione e con il conseguente declassamento a junk sia di Aspi sia di Atlantia mentre il lockdown impattava drammaticamente sui ricavi. Gli accordi dello scorso luglio – quando il premier era ancora Giuseppe Conte - avevano poi tracciato la strada per la cessione a una cordata di Cdp ma i tempi della trattativa, legata a doppio filo all’approvazione da parte degli enti competenti del nuovo Piano economico e finanziario di Aspi, si sono allungati a dismisura complice anche l’estrema delicatezza del dossier e degli asset oggetto di vendita.

Proprio per questo la votazione dei soci sul riassetto di Autostrade, sebbene “consultiva”, era ritenuta molto importante dal board di Atlantia, che negli ultimi mesi ha lavorato per affinare un’offerta alla fine arrivata quanto meno alla parte bassa della forchetta indicata dagli advisor. Non solo. Se lo scorso 29 marzo l’assemblea si era spaccata sullo stop alla procedura di scissione (favorevoli solo Edizione e Crt), ieri 1129 azionisti (tra cui tutti i big e anche l'agguerrita Tci, seppur con una quota ridotta allo 0,3%) si sono pronunciati a favore della vendita; tra i pochi contrari, invece, spicca Lazard Asset Management.

Il cda di Atlantia, tenutosi qualche ora dopo, ha preso atto del risultato della votazione e ha disegnato la tabella di marcia per i prossimi giorni, in cui verranno affinati gli ultimi aspetti della vendita, e si è riconvocato per il 10 giugno, giorno in cui dovrebbe approvare definitivamente la cessione dell’88% di Aspi. Da quel momento, passaggi tecnici permettendo, entro fine mese dovrebbero essere firmati gli accordi vincolanti con Cdp-fondi, il cosiddetto signing, mentre il closing vero e proprio – con il passaggio vero e proprio delle azioni e del corrispettivo economico - è atteso soltanto nel 2022 e richiederà un lungo lavoro preparatorio così come una gestione attenta della fase di transizione.

La holding, che in realtà già negli anni scorsi aveva iniziato una fase di parziale disimpegno da Aspi (era stato ceduto complessivamente il 12% ai cinesi di Silk Road e alla cordata di Allianz-Edf e si pensava a un’ulteriore diluizione), inizia con oggi una fase cruciale in cui dovrà decidere dove e come investire i 5 miliardi cassa derivanti dalla vendita del pacchetto in Autostrade. Quei denari, in ogni caso, sottolineano gli analisti, aumentano la flessibilità strategica. Secondo Equita, per esempio, Atlantia si concentrerà ora su nuovi investimenti ma anche sul sostegno della spagnola Abertis, in cui detiene il 50% più un azione accanto a Florentino Perez, senza disdegnare – conclude il broker – dividendi più generosi, che potrebbero arrivare a 70 cent nel 2022.

Nell’operazione di riassetto la cordata Cdp-fondi per quanto riguarda Macquarie è stato assistita da Rothschild mentre Blackstone è stata seguita da Lazard.

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