Amministratori

Autonomia, cornice domani in Cdm ma resta il buio sui fondi ai servizi

Riforma «senza costi». Se ai Lep servono risorse ci dovrà pensare «la legge»

di Gianni Trovati

Ora si (ri)parte davvero. Dopo i tentativi vani dei governi Gentiloni, Conte-1, Conte-2 e Draghi, per tacere degli esperimenti nei primi anni 2000, l’autonomia differenziata arriva domani per la prima volta in consiglio dei ministri con una legge quadro incaricata di fissare procedure e principi delle intese da siglare poi con le regioni. La mossa è politicamente importante a pochi giorni dalle elezioni regionali in Lombardia (nel Lazio il dossier ha decisamente meno fortuna), e ha ottenuto ieri anche la benedizione di Berlusconi («Le regioni avranno più risorse e più poteri con l’autonomia per gestire i servizi essenziali a partire dalla sanità», ha detto il leader di Fi), anche se non va dimenticato che a inserire l’autonomia differenziata in Costituzione è stato il centrosinistra nel 2001. Ma è solo il primo passo di un cammino su un tema che suscita molte certezze politiche, tra promesse di «efficienza» e allarmi sulla «spaccatura» del Paese, e altrettante incognite pratiche.

Il testo della legge quadro è stato rimaneggiato più volte, gli ennesimi ritocchi sono stati portati ieri nella riunione tecnica del pre-consiglio, ma sugli snodi sostanziali l’impianto resta quello definito a dicembre dal ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli dopo il confronto con la Conferenza delle Regioni. Le funzioni aggiuntive saranno trasferite alle amministrazioni che le richiedono solo dopo la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), archiviando il criterio della spesa storica che avrebbe mediamente premiato i territori del Nord, più ricchi di servizi e quindi anche di spesa pubblica. I Lep saranno determinati con un decreto di Palazzo Chigi che dovrà ottenere l’intesa con le Regioni e il parere delle Camere; e le intese saranno allegate a disegni di legge ovviamente da approvare in Parlamento. Con quali conseguenze, prima di tutto sul piano finanziario?

Qui arriva il punto nodale. Perché «dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica», come si legge anche nell’ultimo testo. E se il governo dovesse calcolare che i Lep, cioè «la soglia costituzionalmente necessaria» per garantire «i diritti civili e sociali» previsti dalla Carta, hanno bisogno di risorse aggiuntive, «la legge provvede al relativo finanziamento». L’ipotesi che i Lep costino, visto il livello di molti servizi soprattutto ma non solo al Sud, non è peregrina. L’idea che si riescano invece a trovare i fondi per il «pieno superamento dei divari territoriali nel godimento delle prestazioni inerenti ai diritti civili e sociali», come recita sempre la legge quadro, è ambiziosa.

Solo al termine di questo processo si potrà avviare il trasloco delle funzioni. Le regioni le sceglieranno nel ricco elenco dell’articolo 117 della Costituzione, che contempla anche «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia» e «grandi reti di trasporto» oltre a istruzione, sanità, professioni, sicurezza sul lavoro e così via. Materie già finite nello sfortunato esperimento della «legislazione concorrente» nata nel 2001, e ora passibili di una regionalizzazione dagli effetti tutti da dimostrare.

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