Il CommentoAmministratori

Autonomia, scelte regionali condizionate dalle performance

di Ettore Jorio

Martedì scorso sarebbe dovuto andare in Consiglio dei Ministri un provvedimento, tra l'altro, istitutivo del Comitato scientifico di supporto alla Cabina di regia. In campo 61 nomi eccellenti, il gotha nazionale a soccorrere nei lavori di competenza dello Stato. Avrebbe dovuto sancire anche altro, ovverosia l'impiego delle risorse speciali di provenienza europee - tra i quali il Fondo di Sviluppo e Coesione - per finanziare, si è supposto, la perequazione infrastrutturale. Una destinazione, invero, non affatto condivisibile, dal momento che verrebbe così a sottrarsi il principale strumento del governo italiano di finanziamento e attuazione delle politiche di riduzione degli squilibri economici e sociali sul territorio. La perequazione infrastrutturale esige l'impiego di risorse aggiuntive (articolo 119, comma 5, della Costituzione) e non già quelle esistenti "riclassificate" e sottratte al loro impiego solidaristico. Forse questa eccezione ha fatto sì che il provvedimento slittasse. Si spera ad libitum per la parte finanziaria.

Le complicazioni esecutive della definizione dei Lep e del federalismo fiscale
Un lavoro difficile quello di mettere a terra i Lep e renderli concretamente godibili con il finanziamento necessario Al riguardo necessitano approfondimenti propedeutici allo sviluppo dei progressivi rispettivi adempimenti istituzionali.
Su tutti i grandi problemi che affliggono il Paese e la Nazione - con la traduzione in quasi gergale dei principi che quest'ultima è solita fare - è prioritario quello di dare per scontata la conoscenza degli acronimi e degli strumenti maggiormente utilizzati in questo periodo divenuto linguaggio costante della politica, collaborata in tal senso dall'informazione che a ciò si adegua.
Nel dibattito pubblico è già difficile la comprensione di cosa sia l'autonomia legislativa differenziata messa in relazione con il federalismo fiscale, nonché della distinzione che occorrerebbe fare tra essi in un momento nel quale tra i due, con il Ddl Calderoli, c'è assoluta complementarietà. Altrettanto difficile è capire cosa siano i Lep, ai quali oramai si fa diffuso riferimento, così come culturalmente acquisire la conoscenza dei costi e fabbisogni standard, questi ultimi ripetuti diciassette volte nella legge delega 42/2009, dei quali solo due riferiti alla sostenibilità delle funzioni fondamentali degli enti locali (11 per i Comuni, 6 per Province e Città Metropolitane).
I Lep rappresentano lo spessore quali-quantitativo standard dei servizi e delle prestazioni da rendere in maniera uniforme alla collettività nazionale. In quanto tali, la loro definizione per materia ovvero per ambiti di esse rappresenta una mission (quasi) impossible per l'apparato statale, nonché per le Regioni cui è affidato l'incarico di supportarlo nella individuazione delle materie suscettibili di erogazione pubblica attraverso i Lep, a mente della lettera c) del comma 793 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2023 e, conseguentemente, dalla circolare Calderoli inviata alle Regioni oltre un mese fa.
Basta prendere ad esempio i Lea per comprendere le difficoltà di conseguire l'obiettivo costituzionale di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali». Essi Lea sono infatti rappresentativi dal 2001 dei Lep posti a garanzia sia della sanità che (dal 2017 in poi) dell'assistenza a fronte dei quali si è però lavorato male, tanto da non essere affatto rappresentativi a tutt'oggi dei servizi e delle prestazioni indispensabili a garantire la corretta loro esigibilità nelle tre macroaree della prevenzione e dell'assistenza territoriale e ospedaliera.
Da qui è facile dedurre la complicazione per lo Stato e per le Regioni di individuare le materie riferibili a Lep. Solo per fare un esempio, quanto lo sia già stato per le Regioni farlo riguardo all'istruzione al netto delle norme generali prevalentemente didattiche, alla ricerca, all'alimentazione, ai trasporti pubblici, alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali, agricoltura, assistenza sociale e così via per ben esercitare la loro competenza legislativa. A tutto questo è necessario aggiungere il grave disagio per lo Stato di completare un tale lavoro per tutte le materie di sua competenza di pronta erogazione dei diritti civili e sociali, comprese le cinque rivendicabili dalle Regioni, ex articolo 116 della Costituzione.
Di certo, un altro grande problema da risolvere sarà quello per lo Stato di individuare i valori congrui, rappresentati dai fabbisogni standard quantitativi, posti a garanzia della sostenibilità delle anzidette funzioni fondamentali del sistema autonomistico locale, e dei costi standard fissati per ciascuno dei servizi e prestazioni essenziali, da "personalizzare" per ogni Regione sulla base dei loro fabbisogni standard adeguati agli indici di deprivazione socio-economica più significativi.
Una problematica, questa, utile a generare disperazione istituzionale? Niente affatto, occorre lavorare alacremente e senza inutili distrazioni di campo, nella consapevolezza però della indispensabilità del lavoro più "operaio" per pervenire a manufatti legislativi immediatamente applicativi ed erogativi dei Lep.

Le scelte regionali sono condizionate dalle performance
Il cosiddetto federalismo fiscale attuato, con conseguente messa in soffitta della spesa storica, una perequazione adeguata a coprire le penose diversità erogative, il senso di responsabilità nell'argomentare bene la scelta di incrementare la propria autonomia legislativa, costituiscono le motivazioni per le Regioni di andare ben oltre quello che fanno oggi. In tutti sensi, ovviamente solo per quelle che hanno dimostrato oggi la migliore performance legislativa e regolamentare. Le altre optino per il ricorso all'articolo 116 (comma 3) della Costituzione solo dopo, però, avere imparato a legiferare senza più ricorrere al copia e incolla.