Il CommentoAmministratori

Autonomia, serve la corretta previsione delle Regioni che aderiranno a un federalismo a geometria variabile

di Ettore Jorio

I tecnici del Senato hanno analizzato il Ddl Calderoli, incardinato il 3 maggio scorso, e ne hanno detto «di tutti i colori». La sua applicazione comporterebbe un possibile rilevante trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni richiedenti derivante da un diverso e differenziato trattamento delle competenze legislative, ex articolo 116, comma 3, della Costituzione. Tutto questo - sottolineato in via ipotetica a commento dell'articolo 4 («nel caso di un consistente numero di funzioni oggetto del trasferimento») - comporterebbe una sensibile acquisizione delle corrispondenti risorse umane, strumentali e finanziarie. Di conseguenza, si registrerebbe, sulla base del principio dei vasi comunicanti, un decisivo incremento dei bisogni economici dei rispettivi bilanci regionali a spese di quello statale, tanto da mettere in forse l'esigibilità dei Lep nelle «regioni non differenziate». Il tutto, secondo il Servizio di bilancio del Senato, potrebbe causare la catastrofe finanziaria delle Regioni «con bassi livelli di tributi erariali maturati nel proprio territorio», tanto da non potere «finanziare … le funzioni aggiuntive». Non solo. Una tale situazione, generativa di una ovvia distribuzione sussidiaria delle nuove funzioni amministrative agli enti locali, impedirebbe alle Regioni differenziate di potere godere delle economie di scala, a causa dell'obbligo di sostenere comunque «costi fissi indivisibili legati all'erogazione dei servizi la cui incidenza aumenta al diminuire della popolazione».

Questo è quanto contenuto nella "Bozza provvisoria non verificata" del 16 maggio scorso, a firma dei tecnici del Senato, cui si è fatto riferimento (NT+Enti locali & Edilizia del 17 e 18 maggio).

In essa si danno per scontati alcuni dati senza tuttavia considerare la imminente diversità della metodologia del finanziamento fondata su costi e fabbisogni standard peraltro funzionali a rendere sostenibili i Lep di prossima definizione (legge 197/2022, commi 791-801).

Nonostante ciò, si perviene a preoccupanti conclusioni in presenza tuttavia di diverse incognite imprescindibili per ben pronosticare il futuro in assenza dei fattori di costo/servizio fondamentali, del tipo:

• quali saranno le materie oggetto di legislazione differenziata scomponibili in livelli essenziali di prestazioni, a fronte delle quali saranno determinate le funzioni amministrative da attribuire al sistema autonomistico;

• in che cosa consisteranno materialmente i Lep, da assicurare uniformemente in termini di esigibilità alla popolazione nazionale tutta (a oggi si conoscono solo i Lea, con tanta difficoltà ad attualizzarli sul fabbisogno epidemiologico variabile per sua natura);

• quali saranno le risorse occorrenti per assicurarli, indipendentemente dal regionalismo differenziato, derivanti, in primis, dalla messa a terra del federalismo fiscale (determinazione dei costi e dei fabbisogni standard) e, in secondo luogo ma di certo non meno importante del primo, da come sarà disciplinata la perequazione, alla quale sia il Ddl Calderoli che la relazione del Servizio di bilancio del Senato fanno appena un timido riferimento non affatto esaustivo rispetto all'importanza che le assegna la Costituzione (articolo 119, commi 3 e 4);

•quanto e per quali materie o ambiti di esse varrà la perequazione al 100%, a totale copertura della differenza tra il gettito territoriale e quanto occorrerà per sostenerli, calcolato sulla base dei fabbisogni discriminati;

• per quali Lep ci sarà invece una copertura diversa dal 100% e come sarà calcolata tenuto conto del principio generale alternativo della capacità fiscale media per abitante, con evidenti e ineludibili rimedi da offrire a valle per darne certezza erogativa ovunque;

• se e come sarà deciso l'intervento di perequazione infrastrutturale - con l'utilizzo delle risorse di cui al comma 5 dell'articolo 119 della Costituzione, del Dlgs 88/2011 e del Dm 26 novembre 2010 (Gazzetta Ufficiale n. 75/2011) – a tutela della differenza di patrimonio fisso che, se non compensata velocemente, renderà impossibile alle Regioni di essere uguali ai blocchi di partenza del federalismo fiscale.

Queste sono le domande, cui l'alta burocrazia dovrà dare delle risposte, affidando a queste ultime un giudizio più ponderato sul regionalismo differenziato.

I dubbi su come il Ddl Calderoli propone l'autonomia legislativa differenziata sono tanti e sono da risolvere in sede parlamentare con emendamenti mirati a disciplinare bene le garanzie perequative e soprattutto ad approvare in aula un testo ragionevolmente integrato. Un tale perfezionamento dovrà avvenire però non prima della definizione dei Lep per materia e la determinazione dei costi e fabbisogni standard secondo i dettami della legge di bilancio per il 2023, senza i quali neppure a discuterne.

Pertanto, prima di spingersi a valutazioni previsionali catastrofiche sarebbe il caso di acquisire due elementi importanti, peraltro rispettosi dell'autonomia che la Costituzione assegna alle Regioni, senza se e senza ma. Essi dovrebbero riguardare, ed è qui il vero nocciolo della situazione, una corretta previsione delle Regioni a statuto ordinario che aderiranno, ricorrendovi, ad un federalismo a geometria variabile e una corretta valutazione, fatta di severi numeri arabi e non sentimentali, della ricaduta del regionalismo differenziato sul livello territoriale. Magari, pensando a quali riforme strutturali mettere mano nella contemporaneità.

Al riguardo, attesa la confusione generatasi tra dichiarazioni favorevoli e contrarie all'attuazione dell'articolo 116, comma 3, della Costituzione, è da considerare un vero peccato non avere insediato nel nostro ordinamento un Senato delle autonomie ove sviluppare i confronti e assumere le decisioni di un tale superiore spessore.