Fisco e contabilità

Carlino (Corte conti): «Pa fermata dal caos normativo, ma sono utili condanne più miti»

Alla vigilia della riforma della Giustizia il presidente apre all’ipotesi di fissare forme di riduzione dei risarcimenti parametrate alle condizioni individuali

di Gianni Trovati

«La cosiddetta paura della firma è anzitutto un problema di percezione, prodotto da un quadro normativo spesso caotico e poco coordinato. Nelle riforme a cui si sta lavorando però potrebbe essere utile arrivare a una definizione per legge dei confini della colpa grave, e incentivare i meccanismi di mitigazione delle condanne erariali». In questi mesi il dibattito sulle responsabilità di politici e amministratori e sul ruolo della Corte dei conti è tornato centrale. L’impegno sul Pnrr, portato avanti con qualche affanno, ha riacceso l’attenzione sulle difficoltà operative della Pa. La questione è esplosa soprattutto con il cosiddetto scudo erariale, cioè la limitazione della responsabilità erariale ai casi di dolo e inerzia escludendo la colpa grave: introdotto nel 2020 (articolo 21 del Dl 76), lo scudo non sarà prorogato e quindi si chiuderà a fine giugno, anche per le critiche mosse a più riprese dalla Corte dei conti. Alla vigilia della riforma della giustizia annunciata dal governo, in questa intervista al Sole 24 Ore il presidente della magistratura contabile Guido Carlino mostra però un atteggiamento di apertura al confronto su interventi più strutturali per migliorare il rapporto fra l’efficienza della Pa e l’esigenza di controlli efficaci nella tutela dei soldi pubblici.

La Corte dei conti è finita fra gli imputati per la temuta paralisi della Pa. La «paura della firma» nasce dai controlli?

No, si tratta di un problema di percezione generato prima di tutto da un sistema normativo caotico e spesso scoordinato. Purtroppo i funzionari pubblici si trovano a operare in un sistema estremamente complesso, con regole spesso poco comprensibili anche agli addetti ai lavori. Ed è ovvio che l’oscurità dei meccanismi normativi rende opaco anche il quadro delle responsabilità. A questo si aggiunge il problema del sottodimensionamento delle Pa, che hanno organici ridotti e invecchiati. I funzionari avrebbero bisogno di una formazione permanente che manca. La paura della firma, insomma, nasce dalle norme e non dai magistrati.

Anche sul Pnrr, però, alcune delibere della Corte dei conti hanno acceso un dibattito con il governo che vi ha accusato di «invasioni di campo» sull’indicazione del mancato raggiungimento di milestones
del Piano.

Va chiarito che il nostro controllo, anche quello concomitante che si è sviluppato insieme al Pnrr, è finalizzato all’ausilio dell’amministrazione, non a porre freni o ostacoli. La nostra azione deve servire alle amministrazioni per mettere in campo misure in grado di rimediare e superare le criticità evidenziate dalle delibere. È la legge (l’articolo 7, comma 7 del Dl 77/2021 in particolare)
ad affidare alla Corte il ruolo di organo indipendente chiamato a esercitare il «controllo sulla gestione» e a svolgere valutazioni sull’economicità, l’efficienza e l’efficacia nell’acquisizione e nell’impiego delle risorse
del Pnrr, in coordinamento con la Corte dei conti Ue.

Non spetta a voi, ribatte però il governo, certificare il rispetto di milestones e target.

Non c’è dubbio, infatti nessuno contesta questo aspetto. Il nostro controllo non si esaurisce nella rilevazione di criticità, perché una volta individuati i problemi prosegue in modalità collaborativa con le amministrazioni per cercare le soluzioni migliori.

Anche l’indicazione di «responsabilità dirigenziali» per i ritardi nell’attuazione ha fatto molto discutere. Perché c’è chi teme, in pratica, che il rischio di sanzioni alimenti un’ulteriore fuga dalle responsabilità da parte dei dirigenti.

Intanto va precisato che a irrogare l’eventuale sanzione è l’amministrazione, non la Corte dei conti. La Corte segnala che potrebbe esserci il presupposto della sanzione, ma la valutazione finale spetta all’ente. In quest'ottica, le rilevazioni contenute nelle delibere sono di carattere provvisorio, e danno luogo a un ulteriore confronto le Pa che dovranno decidere.

In ogni caso il governo, per bocca per esempio del viceministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto al vostro recente convegno a Padova, ha annunciato che dopo gli interventi spot come lo scudo erariale è ora il tempo di una revisione più organica dei controlli anche contabili. Che cosa ne pensa?

Sono completamente d’accordo sulla necessità di riforme organiche. Bisogna superare l’abitudine degli ultimi decenni, in cui gli interventi sulla Corte dei conti sono avvenuti per decreto, con misure spesso disorganiche e poco meditate. Le riforme devono nascere da un confronto ampio con la dottrina, l’università, le associazioni degli enti locali e la stessa Corte, che per legge va coinvolta tramite le sezioni Riunite. Attenzione, però, perché l’idea di indebolire le responsabilità è pericolosissima. A un potere pubblico deve corrispondere una responsabilità precisa, senza la quale si rischia di far cadere il livello di attenzione e quindi di moltiplicare i danni alle finanze pubbliche. E anche in questo campo conta il contesto europeo, perché le direttive impongono misure di tutela del bilancio Ue.

È uno stop preventivo?

Al contrario, io stesso penso che ci sia spazio per correttivi anche importanti. La definizione della colpa grave, ad esempio, potrebbe essere perimetrata per legge, superando la situazione attuale interamente affidata alla giurisprudenza. È possibile poi mitigare si dovrebbe poi anche mitigare il peso del risarcimento introducendo l’obbligo del ricorso ricorso al potere riduttivo per tenere conto di elementi quali la condizione economica del condannato o un contesto ambientale particolarmente complicato in cui opera.

Anche perché spesso la riscossione effettiva delle condanne resta complicata.

Il quadro però è molto migliorato con la riforma del 2016, che ha affidato ai procuratori regionali una vigilanza molto efficace sull’esecuzione. Dopo la sentenza il procuratore apre il fascicolo dell’esecuzione, chiede all’amministrazione di indicare il responsabile del procedimento e può intervenire sulle modalità di riscossione e rateizzazione.

Qual è il limite che secondo lei la riforma non può varcare?

Non si può intaccare il carattere di magistratura indipendente e autonoma della Corte dei conti, che è fissato in Costituzione.

C’è poi l’obiezione sulla duplicazione dei processi, che può portare a un’assoluzione penale e una condanna contabile per lo stesso fatto.

In parte è fisiologica, perché la giurisdizione penale ha natura sanzionatoria mentre quella contabile è risarcitoria, e proprio per questa differente natura la Cedu nella sentenza Rigolio del 2014 ha valutato in modo positivo la sussistenza della responsabilità amministrativa nel nostro sistema. Già nel 1989 la riforma del Codice penale riconobbe l’assoluta autonomia della giustizia contabile e civile. Solo le sentenze penali di condanna fanno stato nel giudizio contabile e non le assoluzioni, perché il penale guarda a un fatto definito come reato mentre la Corte dei conti esamina la complessità della vicenda gestionale, anche con riferimento all’elemento psicologico del dolo.

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