Urbanistica

Cessione di aree a standard, toccherà all'Adunanza plenaria decidere sulla prescrizione

Necessario superare il contrasto di sentenze sulla possibilità per la Pa di acquisire le opere in convenzione anche oltre i termini

di Paolo Bertacco e Federico Finazzi

Tra le questioni giuridiche affrontate più di sovente dalla giurisprudenza amministrativa rientrano quelle relative all'applicabilità dell'istituto della prescrizione, di cui all'art. 2934 del Codice Civile, agli obblighi previsti dalle convenzioni di lottizzazione e dagli atti ad esse assimilati (i.e. atti unilaterali d'obbligo) relativi alla cessione gratuita delle aree a standard.
Nei decenni passati, non era raro il verificarsi della situazione patologica in cui gli obblighi convenzionali originariamente pattuiti tra gli sviluppatori di un'area e le pubbliche amministrazioni non venissero correttamente (o completamente) adempiuti. Questo tipo di vicende hanno visto un progressivo incremento durante la lunga crisi del settore immobiliare quando, a causa delle crescenti difficoltà economiche, si è registrato un crescente comportamento volto a dare priorità alla costruzione degli insediamenti privati rispetto agli obblighi di realizzazione delle opere pubbliche previste dal piano ovvero, in taluni casi, di quelli inerenti alle cessioni di aree alle amministrazioni comunali.

Nonostante ad oggi tali situazioni patologiche risultino decisamente ridotte rispetto al passato, grazie alla previsione di meccanismi convenzionali a maggior tutela dell'ente locale (anche attraverso la presentazione da parte del privato di garanzie fideiussorie rilasciate da primari istituti di credito, che possono essere ridotte solo proporzionalmente all'avanzamento dei lavori pubblici), appare interessante analizzare le recenti pronunce della giurisprudenza amministrativa relative alle situazioni originate dalle convenzioni urbanistiche stipulate decenni or sono.

In particolare, si registra un vivo contrasto tra due orientamenti giurisprudenziali sostenuti da differenti Sezioni del Consiglio di Stato e dai Tribunali amministrativi regionali, che propendono, in un caso, per l'applicabilità della prescrizione anche agli obblighi convenzionali di cessione gratuita delle aree, e, nell'altro, per la non applicabilità del suddetto istituto.

In particolare, secondo l'orientamento tradizionale (recentemente ripreso da Cons. Stato, Sez. I, parere n. 336/2021, Cons. Stato, Sez. II, sent. n. 8006/2021, Tar Piemonte, Sez. II, sent. n. 111/2021 e Tar Liguria, Sez. I, n. 208/2020), una volta scaduto il termine di validità di una convenzione di lottizzazione - ovvero al momento dell'ultimazione delle opere di urbanizzazione se precedente alla scadenza della convenzione stessa - inizierebbe a decorrere il dies a quo del termine decennale di prescrizione; termine entro cui l'amministrazione comunale avrebbe l'onere di attivarsi per chiedere, anche in via giudiziale, l'adempimento degli obblighi convenzionali non eseguiti (ivi compreso quello di cessione gratuita delle aree).

Decorso il suddetto termine decennale, l'amministrazione perderebbe definitivamente la possibilità di ottenere la cessione gratuita delle aree, così rischiando di subire - a causa della propria inerzia nel corso degli anni - perdite economiche collegate alla necessità di acquisire a proprie spese tali aree, su cui risultano (o dovrebbero risultare) localizzate le opere di urbanizzazione relative ad un determinato ambito edificato.

Tale orientamento fonda le proprie ragioni sul fatto che gli obblighi di cessione troverebbero la propria fonte in un atto di natura negoziale (i.e. la convenzione urbanistica) che risulterebbe autonomo rispetto agli strumenti che si occupano di dettare la pianificazione di dettaglio di un particolare ambito. Da ciò ne deriverebbe altresì che il corretto adempimento da parte del privato degli obblighi convenzionali risulterebbe del tutto svincolato dall'ottenimento dei titoli edilizi relativi alle opere private rilasciati dall'amministrazione.

In opposizione alle tesi sin qui esposte si registra però l'esistenza di un diverso filone giurisprudenziale che propende per l'imprescrittibilità degli obblighi di cessione delle aree standard. Tale orientamento trova origine in alcune pronunce del passato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4278/2014 e Tar Lombardia, Brescia, Sez. I, n. 991/2015), che di recente sono state riprese, sviluppate e condivise sempre con maggior frequenza dai giudici amministrativi di primo e secondo grado (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1341/2019, Cons. Stato, Sez. IV, 6717/2021, Tar Lombardia, Milano, n. 2800/2021, Tar Campania, Salerno, Sez. I, n. 2947/2021, Tar Puglia, Bari, Sez. III, n. 1429/2021).

Più precisamente, questo secondo ordine di sentenze ritiene che l'oggetto pubblicistico della convenzione urbanistica escluda la possibilità di considerarla dotata di una specifica autonomia, nonché fonte negoziale del regolamento dei contrapposti interessi delle parti stipulanti. Essendo volta a disciplinare la realizzazione di finalità esclusivamente istituzionali (quali lo sviluppo equilibrato del territorio), la convenzione meriterebbe piuttosto di essere assimilata ad un accordo endoprocedimentale dai contenuti vincolanti. In altri termini, essendo la convenzione urbanistica parte integrante di una sequenza procedimentale che conduce al rilascio da parte dell'amministrazione del titolo edilizio per le opere private, la corretta esecuzione degli obblighi in essa previsti (ivi compresa l'effettiva cessione delle aree a standard) meriterebbe di essere considerata quale condizione perpetuamente imposta del medesimo titolo edilizio rilasciato dall'amministrazione avente ad oggetto lo sviluppo delle parti private.

Secondo questo orientamento, diversamente opinando si giungerebbe all'assurdo per cui l'obbligo di cessione delle aree, che nel modello descritto dalla cd. Legge Urbanistica (cfr. art. 28, comma 5, L. n. 1150/1942) non risulta una comune controprestazione bensì «un elemento strutturale, caratterizzante e imprescindibile, condizione di legittimità della lottizzazione» (così Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 1341/2019), potrebbe svanire col passare del tempo, consentendo così al soggetto sviluppatore di godere dei profitti di una lottizzazione a danno della collettività.

L'orientamento ora descritto considera in parallelo anche gli atti unilaterali d'obbligo con cui i privati, nel contesto di un più ampio sviluppo di una determinata parte di territorio, si obbligano alla cessione o all'asservimento all'uso pubblico di aree a standard. Infatti anche tale tipologia di atti, pur essendo sottoscritti da soggetti privati, non potrebbe essere considerata estrapolandola dal proprio contesto (pubblicistico). Di conseguenza, la connotazione di carattere privatistico tipica dell'atto unilaterale d'obbligo non potrebbe che svanire, divenendo anch'esso (proprio come la convenzione urbanistica) un elemento costitutivo di una sequenza procedimentale complessa, finalizzata al rilascio del titolo edilizio per lo sviluppo delle parti private di un ambito.

Occorre rilevare che si tratta di un tema di non facile risoluzione. Sicuramente la conclusione a favore dell'imprescrittibilità degli obblighi di cessione delle aree sembrerebbe avere il pregio di offrire una soluzione orientata a evitare uno squilibrio nell'assetto del territorio e a consentire all'amministrazione di ottenere l'adempimento dei diritti spettanti anche decenni dopo la stipula degli accordi convenzionali.

Tuttavia, una simile lettura pone non poche problematiche se considerata unitamente all'ulteriore affermazione giurisprudenziale secondo cui gli obblighi di cessione previsti dalle convenzioni urbanistiche hanno natura reale (cfr. Cons. Stato, Sez. II, n. 6282/2019). Infatti, ritenendo non applicabile la prescrizione agli obblighi di cessione e, in parallelo, ritenendo gli stessi di natura reale, potrebbe realizzarsi una situazione in cui l'amministrazione, decorso molto tempo dalla scadenza della convenzione urbanistica, si attivi richiedendo l'adempimento dei suddetti obblighi non solo ai soggetti che a suo tempo avevano stipulano la convenzione o a quelli che hanno realizzato l'edificazione, bensì anche agli aventi causa di tali soggetti. Con evidenti riflessi in termini di certezza circa il destino delle obbligazioni dedotte. Ad ogni modo, il contrasto giurisprudenziale ora riportato non potrà che essere destinato ad una ricomposizione da parte dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, che - non appena verrà chiamata in causa - avrà cura di dettare un principio di diritto in grado di garantire la certezza dei rapporti e l'eguaglianza del trattamento di casi simili, che ad oggi rischiano di ottenere risoluzioni divergenti in funzione della sede territoriale del giudice ovvero della Sezione del Consiglio di Stato a cui viene assegnata una decisione.

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