Appalti

Classifiche/2. La top 50 imprese dieci anni dopo: ecco come è cambiata l'offerta

di Ald Norsa

La lunga storia delle imprese di costruzione (che questa rivista segue da vent'anni analizzandone i bilanci) è costellata di abbandoni. In questo mercato molto più numerosi che in qualunque altro. Perché?

Gioca, oltre al rischio di commesse prolungate con impegni economici significativi e imprevedibili anche la prevalente natura familiare delle imprese. Questo fa sì che molti proprietari, dopo aver lucrato, chiudano le aziende quando iniziano a perdere. Talvolta riaprendendo con altro nome altre aziende, in genere più piccole. E questo non cambia nel tempo: anzi bisogna registrare che, al vertice dei vertici, l'unica realtà a conduzione manageriale, lmpregilo, nata nel 1959 e rilanciata nel 1994 con l'apporto dell'altra grande gestita da manager, Cogefar, è diventata anch'essa familiare nel 2013 con il takeover di Salini. Né le imprese cooperative cambiano il panorama anche in considerazione che oggi solo le due più grandi (Cmc e Cmb) sono in salute a differenza del consorzio Ccc (e della newco Integra).

Per capire questi trend il confronto storico più pregnante è con i dati delle classifiche 2008 basati sui bilanci 2007: ultimo anno prima della crisi finanziaria mondiale (da allora secondo l'Ance gli investimenti in costruzioni sono scesi del 34,9%). Senza però dimenticare un dato qualitativo: il depauperamento nell'ultimo trentennio confrontando la lista delle imprese generali Ance (private) di allora con quelle oggi in classifica.

Il tasso di ricambio è altissimo: solo un'impresa su sei è ancora attiva: delle 60 generali 21 si sono fuse per incorporazione, non sempre andata a buon fine, 29 sono fallite. Rispetto al pre-crisi si nota un fatto positivo: il fatturato 2015 è del 15,9% più alto che otto anni prima, perché la quota estero è salita dal 29,5% al 54,3%. E uno negativo: 24 delle prime 50 imprese (di cui cinque specialistiche) non sono più in classifica. Quasi sempre perché scomparse, in pochi casi per riduzione dell'attività. Ma anche, e sono i casi interessanti, perché presenti sotto altre spoglie: o fuse per incorporazione o avendo cambiato proprietà (e in genere essere state rilanciate).

Ecco i nomi in ordine di fatturato 2007. Sono scomparse: Btp (Baldassini Tognozzi Pontello), già originata da più fusioni, Coopsette, Consorzio Etruria (dopo aver ceduto Coestra e Inso, rispettivamente a Sabesa e a Condotte), la cooperativa Cesi, Dec, Cooperativa di Costruzioni, Impresa (anch'essa frutto di incorporazioni sconsiderate), la cooperativa Orion, Coopcostruzioni, la cooperativa Cmr, Rosso, Matarrese, Bentini, De Lieto nonché le imprese specialistiche Gdm e Seli (i cui rami d'azienda sono stati ripresi da Cmc e da Glf – Grandi Lavori Fincosit).

Sono state acquistate Impregilo e, prima, Todini (da Salini Costruttori, quest'ultima recentemente rivenduta), Sacaim (da Rizzani de Eccher), Cossi (da Condotte) mentre Codelfa (dopo aver incorporato Grassetto) è stata fusa in Itinera (gruppo Gavio). Un fatto importante è l'acquisto di Adanti da parte di Strabag, unico gruppo straniero che si è seriamente insediato in Italia, con contestuale ridenominazione.

Nel 2007 la prima impresa (Impregilo) fatturava 2,6 miliardi (virtualmente 3,3 con Salini), la 45° (generale) Tecnis 104 milioni. Nel 2015, tenendo conto dell'inclusione di Carena (del cui ritorno in bonis si è avuta notizia troppo tardi per esaminarne i dati), la prima impresa (Salini Impregilo) fattura 4,7 miliardi, la 45° Cerruti Lorenzo) 59,7 milioni. Come si vede la forbice è cresciuta limitando il drappello delle imprese leader a una ventina (fino a Carron). E soprattutto cresce la polarizzazione al vertice con le prime cinque imprese generali (variate negli otto anni solo con l'inclusione di Cmc a coprire il vuoto lasciato dalla fusione di Salini e Impregilo) che nel 2007 fatturavano il 35,6% dell'intero lotto mentre oggi salgono al 57,2%. Ma a fronte all'incremento del fatturato delle prime 50 l'utile netto invece cala del 38,5%. L'indebolimento del vertice dei costruttori preoccupa né sembra stiano meglio le imprese medie, o le piccole (almeno quelle che non operano "al nero"). Peraltro puntare sull'estero ancora più di quello che si fa può diventare squilibrato (salvo casi come Salini Impregilo che scelgono di fare degli Usa il loro nuovo mercato domestico).

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