Appalti

Clausola sociale, la sede dei lavoratori riassorbiti può essere modificata

All'appaltatore subentrante va garantita la possibilitàdi ottimizzare il servizio redistribuendo il personale diversamente

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di Stefano Usai

L'aggiudicatario subentrante ha diritto di gestire gli obblighi derivanti dalla clausola sociale tenendo conto del proprio organigramma e può valutare di adibire i dipendenti, purchè nello svolgimento di servizi uguali a quelli oggetto dell'appalto, anche in altri ambiti lavorativi. In questo senso, il Tar Campania, con la sentenza n. 307/2021.

La portata della clausola sociale
La sezione di Salerno ha affrontato, tra le altre la censura in tema di ambito applicativo della clausola sociale fornendo un chiarimento sulla reale portata dell'impegno che deve sostenere l'aggiudicatario che subentra a una pregressa gestione. Giungendo, si potrebbe dire, a configurare il cosiddetto obbligo di riassorbimento, da contemperare con i principi comunitari (ben rammentati anche nelle linee guida Anac n. 13 appositamente dedicate alla clausola sociale), e con la possibilità dell'appaltatore anche di procedere con le assunzioni modificando la sede lavorativa.
La censura del ricorrente si è concentrata sul preteso inadempimento rispetto all'obbligo, che in realtà non è tale, di riassorbimento del personale come anche previsto nel capitolato d'appalto.
Il giudice ha rammentato che, in realtà, lo stesso capitolato pur esprimendosi in termini di obblighi di riassorbimento del personale completava la formulazione con l'inciso al necessario «rispetto dei principi dell'Unione europea e della normativa primaria, secondaria e collettiva vigente» e, soprattutto, «ferma restando la necessaria armonizzazione con l'organizzazione dell'operatore economico subentrante e con le esigenze tecnico-organizzative e di manodopera previste nel nuovo contratto».
A ben valutare la declinazione espressa, normalmente, nei capitolati d'appalto giunge ad avere dei connotati stereotipati non risultando, probabilmente, chiarissimo cosa si intenda, sotto il profilo pratico, prevedere un obbligo da contemperare rispetto alle esigenze organizzative dell'aggiudicatario.
A questo quesito pratico/operativo, effettivamente, ha fornito una interessante risposta proprio la sentenza del giudice campano.

La sentenza
Una volta chiarito che la clausola del capitolato non lasciava dubbi sull'intensità «relativa» dell'obbligo del riassorbimento dovendo risultare rispettosa della «libertà organizzativo-imprenditoriale», il giudice si è soffermato sulle differenti modalità di adempimento delle prescrizioni conseguenti alla clausola sociale.
L'aggiudicatario che è subentrato ha diritto al rispetto delle proprie prerogative riconosciute e garantite dall'articolo 41 della Costituzione che stanno «a fondamento dell'autogoverno dei fattori di produzione e dell'autonomia di gestione propria dell'archetipo del contratto di appalto».
In pratica, la clausola sociale non può essere interpretata attribuendole «un effetto automaticamente e rigidamente escludente» dovendo armonizzare i vincoli «con l'organizzazione di impresa prescelta dall'imprenditore subentrante».
Da ciò può derivare che alcuni lavoratori non trovino spazio nell'organigramma dell'aggiudicatario che subentra diventando «destinatari delle misure legislative in materia di ammortizzatori sociali».
In altri termini, ha proseguito il giudice, «l'operatività della clausola sociale giammai» può impedire all'impresa affidataria «di efficientare e ottimizzare il servizio erogato redistribuendo il personale in maniera […] diversa rispetto alla precedente gestione».
Non solo, l'eventuale obbligo di riassorbimento non può neppure essere inteso con, stereotipato, riferimento «al dato numerico e nominalistico» dei dipendenti «censiti (anche in via solo episodica, per effetto dei meccanismi di turnazione posti in essere) nell'esecuzione dell'appalto scaduto» potendo, l'aggiudicatario, anche ricollocare detto personale «alla prestazione di altri servizi» perfettamente omologhi, «seppure in contesti insediativi diversi. Mantenendo, in questo modo, «inalterate le posizioni e i livelli occupazionali originari (quanto, segnatamente, al monte ore, alla qualifica, al livello retributivo ed all'anzianità individuale)».
Da ciò deriva, conclude la sentenza, che la clausola non comporta «invece alcun obbligo per l'impresa aggiudicataria di un appalto pubblico di assumere a tempo indeterminato e in forma automatica e generalizzata il totale del personale già utilizzato dalla precedente impresa o società affidataria (Consiglio di Stato n. 5243/2019)».

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