Appalti

Concessioni, Mims obbligato a collaborare a fine contratto per trovare un accordo economico

Il Tar Campania sul contenzioso con Autostrade Meridionali: alla parte pubblica l'onere di una leale cooperazione

di Massimo Frontera

Il giudice amministrativo afferma la necessità di un dialogo collaborativo tra concedente e concessionario nella fase che va dalla fine del periodo concessorio e il subentro del nuovo operatore, nei casi in cui l'ingresso del nuovo concessionario si faccia attendere e sia necessario arrivare a un nuovo accordo sui termini economici della concessione. Un dialogo che impegna la parte pubblica a mettere in pratica i principi di «buona fede» e «leale cooperazione». Queste le conclusioni dei giudici del Tar Campania (Sezione Prima) nella sentenza pubblicata il 21 gennaio (n.2104/2022). Sentenza con la quale viene accolto il ricorso di Autostrade meridionali contro il Mims nel braccio di ferro promosso da quest'ultimo per rivedere i termini economici del rapporto concessorio, a quasi dieci anni ormai dalla sua scadenza. Incidentalmente i giudici ricordano anche che l'operatore gestisce la tratta autostradale ininterrottamente dal 1925.

Più precisamente il contenzioso riguarda le tratte affidate alla società Autostrade meridionali (Sam), la cui concessione è scaduta nel 2012. Il nuovo concessionario (Consorzio Sis), con il quale il Mims ha sottoscritto il contratto nel luglio del 2021, non è però ancora subentrato, sia perché la gara è andata per le lunghe, sia perché pende ancora un contenzioso.

La dilatazione del periodo di proroga della concessione e del regime di concessione "depotenziato" dopo la scadenza del termine, ha posto il problema di quale regime applicarsi alla remunerazione della concessione stessa nel periodo di "ordinaria gestione", in considerazione che, dopo la scadenza, venivano meno parte degli oneri e degli investimenti a carico del concessionario stesso. Il problema, fanno osservare i giudici, è che nella convenzione unica dell'Anas la situazione non è regolamentata in maniera specifica; e l'unico richiamo normativo è quello del codice appalti (articolo 178) che invita semplicemente a far riferimento alle «condizioni contrattuali vigenti».



In una recente sentenza del Consiglio di Stato (n.7878/2021) - proprio sul contenzioso Sam-Mims avviato dalla società concessionaria dinanzi al Tar Lazio (sentenza n.1354/2021) per lo stesso motivo - il secondo giudice ammette che la remunerazione nel periodo successivo alla scadenza della concessione non possa essere la stessa di quella quando la concessione era in vigore: anche se «il rapporto concessorio è ancora fondamentalmente disciplinato dalla convenzione unica - osservano i giudici della Quinta Sezione di Palazzo Spada - non è possibile applicare pedissequamente, nelle more dell'affidamento della concessione, le regole che la convenzione scaduta prevede in punto di condizioni economiche e di contenuto del piano economico-finanziario del periodo transitorio, per essere in questo periodo in parte mutati i compiti del concessionario, come si desume proprio dal citato art. 5.1 della convenzione unica, il quale delimita gli obblighi a carico del concessionario uscente a quelli concernenti l'ordinaria amministrazione».

Il richiamo alla cooperazione e alla collaborazione tra concedente e concessionario (nel caso specifico tra Mims e Sam) appare ai giudici l'unica strada, in quanto i giudici del Tar Campania - riassumendo le conclusioni della pronuncia del Consiglio di Stato - ritengono che «nessuna delle due parti del rapporto concessorio possa imporre all'altra, indipendentemente dalla forma assunta, alcuno specifico obbligo contrattuale relativo al periodo di proroga». Da una parte, infatti, la società concessionaria ha sollecitato il ministero a dare il consenso a una sua proposta unilaterale di adeguamento del Pef; dall'altra il ministero ha risposto al concessionario chiedendo di adeguarsi, anche retroattivamente, a un regime di remunerazione indicato da una delibera Cipe appositamente sollecitata. Insomma, le parti finora non hanno cercato un accordo ma hanno realizzato solo un dialogo tra sordi.

Secondo i giudici, nel codice civile (articolo 1374) si può rintracciare un obbligo al dialogo collaborativo necessario in questo caso. Dialogo collaborativo che, in questo caso, deve concretizzarsi sull'approvazione di un nuovo Pef. Peraltro, il contenzioso presso il Tar Campania nasce proprio dall'atto con il quale il ministero ha ritenuto non accoglibile la proposta di Pef formulata da Sam. «La predisposizione di un nuovo Pef - dicono i giudici del Tar Campania - concretizza, quindi l'obbligo di negoziazione incombente sulle parti e presuppone che le parti cooperino fra loro per l'individuazione di una soluzione per la gestione delle sopravvenienze che consenta loro di identificare la soluzione più soddisfacente per la realizzazione dei propri obiettivi».

Che significa rinegoziare? «"rinegoziare" - risponde la sentenza - vuol dire impegnarsi a porre in essere tutti quegli atti che, in relazione alle circostanze, possono concretamente consentire alle parti di accordarsi sulle condizioni dell'adeguamento del contratto, alla luce delle modificazioni intervenute». Ancora: «l'obbligo di rinegoziare impone di intavolare nuove trattative e di condurle correttamente, ma non anche di concludere il contratto modificativo. Pertanto, la parte tenuta alla rinegoziazione è adempiente se, in presenza dei presupposti che richiedono la revisione del contratto, promuove una trattativa o raccoglie positivamente l'invito di rinegoziare rivoltole dalla controparte e se propone soluzioni riequilibrative che possano ritenersi eque e accettabili alla luce dell'economia del contratto; di sicuro non può esserle richiesto di acconsentire ad ogni pretesa dell'altra parte o di addivenire in ogni caso alla conclusione di un (pre)determinato contratto, che, è evidente, presuppone valutazioni di convenienza economica e giuridica che non possono essere sottratte né all'uno né all'altro contraente».

E nella conduzione della trattativa, la parte pubblica deve farsi carico dei «principi della buona fede e della leale cooperazione quali parametri di legittimità dell'agere pubblico». Nel caso specifico, i giudici rilevano che il ministero non si sia comportato correttamente: «risulta evidente che il Mit non abbia adempiuto a tale obbligo di leale collaborazione, limitandosi con la nota gravata a respingere le proposte avanzate dalla ricorrente, senza formulare controproposte che potessero far nascere la necessaria interlocuzione negoziale e limitandosi a richiamare le determinazioni adottate dal Cipe. Queste ultime, come invece statuito dal Giudice di appello, possono al più rivestire "il valore di una direttiva rivolta al Mit" quale Amministrazione concedente sulla quale incombe quindi l'obbligo di rinegoziare i termini del piano finanziario».

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