Urbanistica

Condono, oneri di concessione determinati alla presentazione della domanda

Per il Consiglio di Stato non si deve invece fare riferimento alla data di rilascio del titolo

di Pietro Verna

Nei procedimenti di condono gli oneri di concessione devono essere rapportati al momento della domanda di sanatoria dell'opera abusiva e non al momento del rilascio del titolo concessorio. Lo impongono i principi costituzionali di uguaglianza nella soggezione alle prestazioni patrimoniali e di buon andamento della pubblica amministrazione.

Lo ha stabilito il Consiglio di Stato, sentenza 21 aprile 2021, n. 3217, che ha annullato la pronuncia con la quale il Tar Campania aveva respinto il ricorso proposto contro il provvedimento con cui il Comune di Pimonte nel 2018, all'esito della definizione di una domanda sanatoria (1985) relativa ad un intervento edilizio eseguito nel 1997 su un fabbricato rurale, aveva chiesto ad un imprenditore agricolo «il pagamento degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione, dell' integrazione dell'oblazione e della sanzione ambientale-indennità risarcitoria», non applicando:

1) l'art. 17, comma 3, lettera a), del D.P.R. 380/2001 che prevede l'esenzione dal contributo di costruzione per gli immobili rurali;
2) l'art. 34, comma 7, lett. e), della legge n. 47 del 1985 che prevede la decurtazione del 50% dell'oblazione prevista per la sanatoria di opere abusive condonate, «realizzate nelle zone agricole in funzione della conduzione del fondo e delle esigenze produttive dei coltivatori diretti o degli imprenditori agricoli a titolo principale».

La sentenza del Consiglio di Stato
Il Comune aveva contestato all'interessato il venir meno del « nesso tra la costruzione – come modificata – e l'attività agricola» per aver destinato tra il 1994 e il 2009 alcuni locali del fabbricato rurale ad altri usi (locazione per attività di recupero di soggetti disagiati e gestione di un ristorante). Tesi che il Tar aveva condiviso («la destinazione interinale ad attività diverse da quella agricola costituisce la prova dell'attitudine strutturale dell'edificio ad usi ulteriori rispetto alla mera conduzione del fondo ed alle esigenze dell'imprenditore agricolo a titolo principale») sebbene il ricorrente avesse dimostrato che «le locazioni erano successive alla presentazione della domanda di sanatoria» e prodotto elementi "inconfutabili": l'ubicazione fabbricato nella «zona a destinazione agricola», la qualifica di « imprenditore agricolo» e la pronuncia con cui la Commissione tributaria regionale aveva accertato che l'edificio era in possesso dei requisiti «soggettivi» e «oggettivi» per essere considerato «rurale». Da qui la sentenza che ha confermato l'orientamento della giurisprudenza maggioritaria secondo il quale:

- la determinazione del contributo di concessione in sanatoria deve effettuarsi con riferimento alle tariffe vigenti al momento della domanda (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentenza 7 luglio 2014, n. 3425; Sez. IV, sentenza 3 ottobre 2012 n. 5201), momento da cui decorre anche il termine di prescrizione del diritto (cfr. Cons. Stato, Sez. IV: sentenze 26 febbraio 2013, n. 1188; 3 ottobre 2012, n. 5201; 19 gennaio 2009, n. 216);

- non sarebbe conforme al principio di uguaglianza che abusi edilizi suscettibili di sanatoria, uguali per natura e data di compimento, siano assoggettati ad oneri di diverso importo in applicazione delle tariffe vigenti nei diversi momenti di conclusione dei singoli procedimenti ( Tar Lombardia- Milano, ordinanza 20 marzo 2009, n. 212),
fermo restando che sulla questione si è espressa anche la Corte costituzionale. Lo ha fatto con l' ordinanza n. 105 del 2010 che, nel prendere atto dell' orientamento giurisprudenziale minoritario (ex multis, Cons. Stato, Sez. V, sentenza 26 marzo 2003, n. 1564), ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 6, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31 "Disposizioni regionali in materia di illeciti edilizi" laddove stabilisce che «gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria sono determinati applicando le tariffe vigenti all'atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria anziché al momento di entrata in vigore del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269».

I giudici costituzionali hanno sancito che «il criterio delle tariffe vigenti al momento dell'entrata in vigore delle leggi di sanatoria di volta in volta promulgate dal legislatore statale ai fini della determinazione della misura del contributo è ben lungi dell'essere l'unica regolamentazione conforme alla Costituzione, ma rappresenta solo una delle diverse soluzioni astrattamente possibili». Motivo per il quale la scelta del legislatore regionale di privilegiare l'interesse pubblico «all'adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione […] sembra essere il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi che può solo essere effettuato dal legislatore».

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