Appalti

Consiglio di Stato: l'equo compenso non impedisce alla Pa di assegnare incarichi professionali gratis

Restano i dubbi sulla possibilità di conciliare la gratuità dell'incarico con criteri di selezione ispirati all'imparzialità. Incarichi di natura intellettuale gratis vietati nel nuovo codice

di Roberto Mangani

Un ente pubblico può legittimamente affidare un incarico professionale a titolo gratuito, derogando al criterio dell'equo compenso. Infatti tale criterio opera nel senso di imporre che il compenso sia equo in quanto lo stesso sia previsto, ma non impedisce che tale compenso sia del tutto assente. Nel contempo, ai fini della selezione dell'affidatario l'ente pubblico è comunque tenuto a garantire il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, adottando criteri di scelta che rispettino i requisiti della certezza, conoscibilità, oggettività e imparzialità.

Così si è espresso il Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2084, con una pronuncia che in realtà lascia qualche zona d'ombra, non essendo del tutto chiaro come la ritenuta possibile gratuità dell'incarico si concili con l'adozione di criteri di selezione ispirati all'imparzialità e all'oggettività.

Il caso
Un ente locale, a seguito della richiesta di tre preventivi ad altrettanti professionisti, aveva affidato un incarico per il patrocinio e l'assistenza legale in un contenzioso davanti al giudice amministrativo. Uno dei tre professionisti che aveva presentato il preventivo e non era stato prescelto contestava la legittimità dell'affidamento, proponendo ricorso davanti al giudice amministrativo. Il motivo centrale del ricorso si fondava sulla considerazione che l'ente locale non avrebbe potuto affidare l'incarico basandosi sul solo elemento del prezzo offerto, che peraltro doveva considerarsi eccessivamente basso e come tale non in linea con il criterio dell'equo compenso. Il Tar Lombardia respingeva il ricorso. In particolare il giudice di primo grado evidenziava come nel caso di specie non potesse trovare spazio il criterio dell'equo compenso. Secondo il giudice amministrativo tale criterio – previsto dall'articolo 3 del decreto legge 148/2017 – non troverebbe applicazione in tutti i casi in cui la clausola di determinazione del compenso per la prestazione professionale sia stata oggetto di trattativa tra le parti o sia il risultato di una procedura a evidenza pubblica. In queste ipotesi infatti non vi è alcuna imposizione della misura del compenso professionale, nel senso che il professionista non è tenuto ad accettare supinamente la decisione dell'ente pubblico, ma può liberamente valutare la convenienza a prestare la sua opera per un compenso che è frutto di una contrattazione tra le parti. Viene quindi meno la ratio dell'istituto dell'equo compenso, che si identifica con la protezione del professionista a fronte di comportamenti potenzialmente vessatori del committente.

Questa situazione è proprio quella che si è verificata nel caso di specie. L'ente locale ha infatti richiesto a tre professionisti di formulare la loro offerta/preventivo, fornendo gli elementi necessari affinchè gli stessi potessero valutare natura e caratteri della prestazione richiesta. Ciascun professionista ha quindi predisposto la sua offerta in assoluta libertà e senza essere vincolato da criteri e parametri prestabiliti unilateralmente dall'ente locale, in assenza quindi di ogni possibile condizionamento. La sentenza del Tar Lombardia è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato dall'originario ricorrente, che ha contestato alla radice l'iter argomentativo sviluppato nella stessa.

Gratuità della prestazione e criteri di affidamento degli incarichi professionali
In sede di appello il ricorrente ha sostenuto che il giudice amministrativo di primo grado abbia male interpretato la questione posta alla sua attenzione. La questione posta in sede di ricorso non si sostanzia infatti nello stabilire se per gli incarichi professionali affidati dalla pubblica amministrazione si debba applicare il criterio dell'equo compenso. Piuttosto si tratta di decidere se la norma che prevede l'equo compenso – cioè un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto – consenta che l'ente pubblico nella selezione del professionista cui affidare l'incarico possa procedere sulla base esclusivamente del prezzo più basso e non con un criterio basato sul rapporto qualità/prezzo.Nel caso di specie peraltro l'ente locale non aveva neanche preavvertito i professionisti cui era stata richiesta l'offerta che la scelta sarebbe avvenuta esclusivamente sulla base del prezzo proposto, circostanza da ritenersi contraria ai principi generali di correttezza e buona fede.

Sulla base di questa prospettazione del ricorrente il Consiglio di Stato prende le mosse dalla norma richiamata – articolo 19 quattordicies, comma 3, decreto legge 148/2017 – secondo cui la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia garantisce il principio/criterio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni oggetto di incarichi professionali. Sulla base di questa norma il ricorrente, fin dal ricorso promosso presso il giudice amministrativo di primo grado, aveva censurato la procedura seguita dall'ente locale per l'affidamento dell'incarico, in quanto fondata esclusivamente sul prezzo più basso e senza alcuna predeterminazione di altri criteri. Infatti, la mancata considerazione di ogni elemento relativo alla qualità della prestazione da rendere sarebbe comunque in contrasto con il criterio dell'equo compenso in quanto nei rapporti con la pubblica amministrazione tale criterio non ha solo lo scopo di tutelare il professionista in quanto contraente debole, ma ancor prima ha la finalità di assicurare l'interesse pubblico ad acquisire prestazioni di qualità.

Il Consiglio di Stato ha accolto questa censura. In via preliminare il giudice di secondo grado ha ritenuto che la norma richiamata non esclude che si possano affidare incarichi professionali derogando al criterio dell'equo compenso. Tale norma infatti non elimina il potere dispositivo del professionista, che può liberamente rinunciare al compenso – qualunque esso sia, e quindi anche se equo – al fine di perseguire utilità diverse da quelle meramente economiche o addirittura anche senza ricavare alcun tipo di vantaggio. Secondo l'interpretazione del Consiglio di Stato la disciplina sull'equo compenso – che esprime l'attenzione del legislatore verso le libere professioni e quindi vuole tutelare il lavoro prestato al di fuori del rapporto dipendente – vale nella misura in cui un compenso sia effettivamente previsto. Ma non impedisce che la prestazione possa essere resa in forma gratuita.

In altri termini, la normativa sull'equo compenso va interpretata nel senso che se un compenso è previsto, lo stesso deve essere equo; ma non impedisce che il compenso manchi del tutto e la prestazione sia resa a titolo gratuito. Ciò detto in termini generali, il giudice amministrativo puntualizza poi che in ogni caso la scelta del professionista cui affidare l'incarico deve essere fondata su criteri predeterminati e preventivamente resi noti agli offerenti. Ciò in quanto l'attività amministrativa di scelta del contraente deve essere ispirata ai principi di imparzialità e buon andamento, con l'effetto che i criteri di selezione devono rispondere ai requisiti di adeguatezza, conoscibilità, oggettività e imparzialità. E questo vale anche per gli incarichi professionali, per i quali le regole di assoluta imparzialità sono finalizzate ad evitare il mercato delle libere professioni sia aperto alla concorrenza evitando il consolidamento di situazioni di privilegio.

Applicando queste considerazioni al caso di specie, il Consiglio di stato accoglie il ricorso. Infatti, in primo luogo la scelta del professionista non è stata operata nel rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità: in secondo luogo, si è adottato come criterio esclusivo di scelta quello del prezzo più basso, senza tenere in alcuna considerazione gli aspetti di natura qualitativa, posti a tutela non solo dei professionisti ma anche dello stesso ente pubblico committente.

In chiusura il Consiglio di Stato opera un'importante puntualizzazione in relazione all'orientamento manifestato dal giudice comunitario in merito alla possibilità che per la determinazione del compenso per prestazioni professionali si possa fare riferimento a tariffe minime. Viene infatti ricordato che la Corte di Giustizia Ue non ha escluso in termini assoluti che le singole legislazioni nazionali possano introdurre minimi tariffari, sottolineando il rischio che la corsa al ribasso possa escludere dal mercato i professionisti che offrano prestazioni di qualità. A rafforzamento di questo principio, con specifico riferimento agli incarichi di progettazione il giudice comunitario ha ritenuto legittima la previsione di una tariffa minima al fine di evitare che, nel contesto di un mercato fortemente concorrenziale, gli operatori siano indotti a offerte al ribasso, a discapito della qualità delle relative prestazioni.

Gli incarichi a titolo gratuito nel nuovo Codice
La pronuncia del Consiglio di Stato affronta una questione molto dibattuta in cui si intrecciano diverse esigenze: la salvaguardia dei principi concorrenziali, la tutela della qualità delle prestazioni, l'interesse dei committenti pubblici a poter affidare incarichi anche a titolo gratuito. La complessità della questione emerge anche dai contenuti della pronuncia in commento, in cui vengono contemporaneamente affermati una serie di principi non sempre pienamente coerenti tra loro.

Il Consiglio di Stato ammette infatti la gratuità delle prestazioni rese a favore di un committente pubblico. Nel contempo ribadisce la necessità che la scelta del professionista avvenga secondo criteri oggettivi e che tengano conto anche della qualità della prestazione offerta. Non è chiaro come questi due principi possano facilmente conciliarsi tra loro. Se infatti viene prevista la gratuità dell'incarico, la selezione non può che avvenire sulla base di criteri meramente qualitativi. O al contrario si può ritenere che le regole procedurali possano operare solo se è previsto un compenso, secondo criteri che assicurino la valutazione contestuale del prezzo e degli elementi qualitativi, entrambi contenuti nell'offerta.

In prospettiva si collocano poi le previsioni contenute nello schema del nuovo Codice dei contratti pubblici. In questa sede la questione viene riportata a livello di principi generali. L'articolo 8, in attuazione del principio dell'autonomia negoziale riconosciuto alle pubbliche amministrazioni, stabilisce esplicitamente che le stesse possono concludere qualunque contratto, anche a titolo gratuito.Questa previsione di carattere generale viene tuttavia delimitata in senso restrittivo dalle successive disposizioni, dando luogo a una disciplina complessiva che non appare del tutto lineare. Infatti, da un lato viene sancito in linea generale il divieto di acquisire prestazioni d'opera intellettuale a titolo gratuito, stabilendo che l'amministrazione deve comunque riconoscere al prestatore d'opera un equo compenso.

Nel contempo viene invece ribadita la possibilità di concludere contratti a titolo gratuito per prestazioni diverse da quelle di natura intellettuale a fronte di un interesse economico dell'affidatario. Quest'ultima prescrizione sembra quindi prefigurare una situazione in cui, a fronte del contratto stipulato per lo svolgimento di determinate prestazioni (di natura non intellettuale), l'operatore economico, pur non ricevendo un corrispettivo in denaro, ne ricava comunque un vantaggio misurabile in termini economici. La nuova disciplina sembra quindi non essere in linea con l'interpretazione offerta dal Consiglio di Stato in relazione alla normativa vigente, ponendo un vero e proprio divieto di gratuità delle prestazioni con riferimento agli incarichi professionali.

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