Il CommentoFisco e contabilità

Contabilità, la pretesa dell'Ue esige verità e rimedi

di Ettore Jorio

La contabilità pubblica non è mica un gioco. Non è affatto un mezzo attraverso il quale conseguire scopi politici, assolutamente. Non rappresentare i conti pubblici nella loro composizione reale, ricorrendo a bassi marchingegni, è molto di più di una violazione degna del cartellino rosso della Magistratura erariale. Cosa ancora più grave è quella di generare un pregiudizio grave ai conti della Repubblica e un danno a efficacia intergenerazionale attraverso la non esposizione delle passività reali complessivamente plurimiliardarie.

La pretesa dell'Ue esige verità e rimedi
Quello del ripristino delle verità contabili sarà un dovere assoluto cui assolvere a partire da subito. Il ripristino del Patto di stabilità e conseguenti obblighi da parte dall'Ue lo impongono. Ne consegue la necessaria "riparazione" degli orrori presenti nei bilanci. Ciò per ridefinire il punto contabile da dove realmente partire per intervenire favorevolmente sul debito pubblico. Troppi gli anni consumati, specie in ambito della sanità pubblica, con un abituale ricorso delle Regioni ad appostazioni in bilancio con modalità e finalità improprie. Finalizzate a pervenire indebitamente a rappresentazioni causali false e a saldi accomodati. "Marachelle" che se compiute da un amministratore delegato di una società quotata in borsa avrebbero prodotto una immediata totale distruzione del titolo corrispondente e tempestivi interventi della magistratura inquirente.

L'occasione più recente
Sul tema, un altro recente tentativo per rimescolare le carte. In occasione della conversione del decreto legge 34/2023, quello noto come il "decreto bollette", tra i 576 emendamenti ce ne era uno che "splendeva di luce propria" (era, perché dichiarato inammissibile!). Il solito esperimento di insediare nell'ordinamento una modalità contabile maccheronica, a tal punto da non essere tollerabile persino nella esposizione della contabilità di un condominio, perché tesa a redigere bilanci che, a chiamarli tali, farebbero arrossire il meno attento dei ragionieri.

Un evento da cartellino rosso
L'emendamento 9.012 (Benigni, Cannizzaro e Arruzzolo) tentava una creativa chiusura delle procedure contabili straordinarie delle aziende sanitarie sottoposte a piano di rientro. Titolo « Disposizioni per la chiusura delle procedure contabili straordinarie delle aziende sanitarie delle regioni sottoposte a piano di rientro», utile a consentire una credibilità a "documenti contabili" (che non sono bilanci!) in barba ai principi fissati dall'ordinamento interno ed europeo, tra i quali quello della continuità ritenuto ineludibile dalla giurisprudenza costituzionale ed erariale. In buona sostanza, concretizzava un tentativo plateale di fare approvare una legge (molto) ad personam, nella quale è davvero facile individuare le Regioni mandanti (Calabria) e beneficiarie (Lazio Co.), con ovvia lesione dei diritti delle collettività di riferimento. Il tutto con la conseguenza autolesionistica di offrire alla ratio legislativa ispiratrice dell'emendamento de quo il valore di una chiara confessione delle brutture commesse nella tenuta della contabilità pubblica delle Regioni bisognose di ricorrere allo stratagemma, contrario a tutti i canoni legislativi.
Un riconoscimento di paternità che rintraccia la sua certificazione nelle deliberazioni n. 30 e 31 del 28 marzo 2022 della Sezione regionale di controllo per il Lazio, che nella sostanza hanno colto in fallo da rigore il SSR. Meglio, rispettivamente le aziende sanitarie locali Roma 2 e quella di Latina. Irregolarità ben evidenziate anche a esito del giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Lazio per il 2021 (deliberazione n. 135 del 21 dicembre 2022, relatori D'Ambrosio e Nori). Le due deliberazioni, cha rappresentano un buon pendant pedagogico per coloro i quali sono tenuti a redigere ma anche a correre ai ripari di obbrobri contabili commessi da omologhi predecessori, hanno infatti scoperto il coperchio di una pentola nascosta nella parte più buia della cantina laziale.

Il problema investe il bilancio consolidato delle Regioni
Le anzidette delibere spiegano bene i marchingegni messi in campo nel periodo 2017-2019. Verosimilmente rintracciabili ovviamente ben oltre, non solo nel Lazio e non solo in ambito sanitario. Il tutto reso possibile da un impianto normativo segnatamente autonomo, introduttivo di una sorta di (molto) soft law, recato da decreti commissariali e delibere giuntali di natura regolamentare che, unitamente a circolari e linee guida, hanno costituito il passepartout per arrivare a disciplinare la costruzione e redazione del bilancio della aziende sanitarie secondo convenienze politiche e non già secondo diritto e utilità pubblica.
Tutto questo ha reso inagibili i bilanci sul piano della rappresentazione chiara e veritiera, aggravata da indicazioni fornite dalla Regione alle aziende sanitarie nelle quali è facile intravedere una precisa indicazione a fornire saldi non affatto veritieri e dunque a pervenire a risultati di gestione contraffatti. Non solo questi derivanti da riaperture di bilanci consuntivi già chiusi per intervenire su di essi per dimostrare capacità gestionali non possedute attraverso artate appostazioni di introiti straordinari, legislativamente differibili all'esercizio successivo a titolo di sopravvenienze attive consentendo di contro un uso distorto delle componenti straordinarie.
Si è difatti fatto ricorso a stralci di debiti e crediti insussistenti, con particolare riferimento a note di credito da ricevere da erogatori privati per extra budget corrisposti, non affatto contabilizzate come corrispondenti insussistenze positive e negative, impiantandole invece direttamente, ma indebitamente, a livello patrimoniale nel fondo di prima dotazione. Quest'ultimo strumento è stato istituito in sede di avvio della contabilità economico-patrimoniale per essere utilizzato, esclusivamente e una tantum, per evidenziare la differenza tra attivo e passivo del primo stato patrimoniale dell'ente di riferimento. Non già per farne un uso distorto, come invece è accaduto e ancora succede. Un modo, quello cui hanno fatto ricorso le ragionerie della aziende sanitarie esaminate, per eludere artatamente i risultati economici di periodo - dovuti agli utenti in forma assolutamente veritiera anche sulla base delle vigilanze previste - cui dovere dare altrimenti rimedio attraverso i normali mezzi finanziari resi disponibili dall'ordinamento.

Una regia regionale da pollice verso
Una brutta "abitudine" che ha avuto origine nel Lazio con il deprecabile assunto recato dal DCA n. 521/2018 ove si individuava la "soluzione" nell'evitare l'appostazione nel conto economico delle insussistenze dell'attivo tra i componenti negativi di reddito ma di spesarle con la contrapartita innocua di "fondo di dotazione" destinato così a perdersi nel tempo. Un impiego assolutamente improprio del fondo di dotazione ridotto così a un uso falsato e promiscuo, quasi che fosse il cestino dell'indifferenziata. Il tutto ricorrendo tra l'altro a note di credito scollegate dalla realtà contabile perché prive di titolo sottostante, in quanto tali funzionali a mascherare erogazioni effettuate dai privati senza copertura ma retribuite ai medesimi attraverso il ricorso al sistema cosiddetto del castelletto fatture.
Una chiara elusione di tutto: della Costituzione, delle regole ordinamentali, dei doveri politici e del rispetto dei diritti della cittadinanza. E dire che si è tentato, con l'emendamento esaminato, di replicarne maldestramente gli effetti, sperando che finisca qui e subentri il rinsavimento dovuto alla Repubblica e alla Nazione. Provare ad estendere altrove comportamenti simili concretizzerebbe un vero e proprio delitto.