Il CommentoFisco e contabilità

Così però l'obbligo di copertura è doppio, di competenza e di cassa

di Carmine Cossiga

Il prevedibile nuovo intervento della Consulta con la sentenza n. 80/2021 sulle modalità di contabilizzazione in bilancio delle anticipazioni di liquidità in base Dl n. 35 del 2013, nonché di reperimento delle risorse da destinare a copertura degli oneri di rimborso della quota annuale, se da un lato complica non poco la quadratura dei bilanci di numerosi enti locali, dall'altro è indubbiamente coerente con le interpretazioni nomofilattiche rese dalla Corte dei conti con le delibere n. 33/2015 e 28/2017 richiamate dal punto 3.20-bis (introdotto dal Dm 1° agosto 2019) dell'Allegato 4/2 («Principio contabile applicato concernente la contabilità finanziaria») al Dlgs 118/2011. Tutte le premure muovevano dall'esigenza di evitare che le anticipazioni di liquidità, le quali «altro non costituiscono che anticipazioni di cassa di più lunga durata temporale rispetto a quelle ordinarie» (Corte costituzionale n. 181/2015) producessero effetti espansivi della spesa proprio perché certi comportamenti nel passato avevano determinato un uso distorto dell'istituto finanziando disavanzi sanitari e nuova spesa corrente. Inizialmente, in vista dell'introduzione della competenza finanziaria potenziata, gli organi giurisdizionali ritennero che l'anticipazione ottenuta venisse sterilizzata facendo confluire il residuo passivo nel risultato di amministrazione come "Fondo destinato alla restituzione dell'anticipazione" da ridursi, negli esercizi di un importo pari alle somme annualmente rimborsate (Sezione autonomie n. 14/2013). Anche il Mef (nota 28 giugno 2013) modificava il proprio originario orientamento (della conservazione a residui passivi) precisando che il "Fondo", quale partita meramente finanziaria, non dovesse concorrere agli equilibri di parte corrente.

Non ci sarebbe stato alcun impatto sui bilanci futuri cioè, alcun effetto espansivo o riduttivo della spesa se le cose fossero rimaste così. Ma tanto Arconet (faq del 10 marzo 2015) quanto la Sezione Autonomie (delibere n. 19/2014 e n. 33/2015) ritennero, senza congrua motivazione, che non fosse possibile pagare le rate di ammortamento dell'anticipazione sullo stanziamento "Fondo destinato a restituzione anticipazione", né finanziare tale spesa con la quota del risultato di amministrazione che si è formato nell'anno di accertamento dell'entrata, bensì andassero finanziati a carico della situazione corrente del bilancio.

La Consulta (n. 181/2015) giustificava la ratio delle anticipazioni di liquidità nel «riallineare nel tempo la cassa degli enti strutturalmente deficitari con la competenza, attraverso un'utilizzazione limitata al pagamento delle passività pregresse unita a contestuali risparmi nei bilanci futuri, proporzionati alle quote di debito inerenti alla restituzione della anticipazione stessa così da rientrare dai disavanzi gradualmente ed in modo temporalmente e finanziariamente proporzionato alla restituzione dell'anticipazione». In tal modo, pur affermando che si trattava di un'operazione di mera cassa, salvava l'istituto da indubbia censura di incostituzionalità che avrebbe sortito un insostenibile effetto per gli enti di dover restituire alla Cassa depositi e prestiti le ingenti somme ivi attinte. Dall'altro, consapevole che l'anticipazione di liquidità in realtà finanziava i disavanzi occulti ammantati dai residui attivi di dubbia esigibilità, pretendeva che il rimborso del capitale avvenisse con risorse correnti («contestuali risparmi nei bilanci futuri»), ma senza tener conto che risparmi di sola cassa nei bilanci futuri già erano imposti dal ripiano dell'extradeficit (di sola competenza).

Da un punto di vista ontologico, il pensiero dei giudici non faceva una grinza, se non fosse per il fatto che proprio quei crediti di dubbia esigibilità avevano già impattato sui bilanci generazionali nell'operazione di riaccertamento straordinario generando un extradeficit da spalmare sui futuri bilanci generazionali dei prossimi trent'anni. Fondo anticipazione di liquidità (Fal) e Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde) erano, dunque, due facce della stessa medaglia. Perciò, le generazioni future avrebbero subito, per la stessa "ragione", un doppio onere: una volta per il rimborso del Fal, da avvenire anno per anno con risorse correnti; dall'altro, per la parte di extradeficit generata al 1° gennaio 2015 dal primo accantonamento al Fcde, da spalmare nei successivi bilanci generazionali fino al 2044.

Ciò aveva giustificato l'intervento del legislatore con l'articolo 2, comma 6, del Dl 78/2015 che, per evitare un doppio impatto sui bilanci generazionali futuri, uno per il rimborso della rata capitale dell'anticipazione di liquidità da finanziare con risorse di bilancio e l'altro per la quota di disavanzo da extradeficit (da fondo crediti di dubbia esigibilità), aveva dato la facoltà di utilizzare la quota accantonata del Fal nel risultato di amministrazione, ai fini dell'accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità nel risultato di amministrazione. Ma il corto circuito si era ormai creato e la Consulta, preoccupata di evitare effetti espansivi della spesa, nel cassare la norma contenuta nell'articolo 2, comma 6, mal compresa dai più, con la sentenza n. 4/2020 ha finito per determinare effetti riduttivi della spesa, richiedendo due volte la copertura in bilancio per la stessa voce di disavanzo: una volta di competenza (Fcde) e una volta di cassa (Fal). Con l'articolo 39-ter del Dl 162/2019 il legislatore ha voluto nuovamente evitare quell'effetto riduttivo della spesa sui bilanci generazionali determinato dall'eccesso di zelo dei giudici contabili, ma come prevedibile, ne è derivato un nuovo arresto.

Giova ricordare, però che – circostanza questa non rappresentata, né confutata dalla Consulta - lo stesso punto 3.20-bis, a seguire, declina il trattamento contabile delle «altre anticipazioni di liquidità che non si chiudono entro l'esercizio», modalità che risulta perfettamente identica a quella contenuta nel comma 3, lettere a) e b), dell'articolo 39-ter del Dl 162/2019 - cancellato dalla Consulta con la sentenza n. 80/2021 - secondo cui «nell'entrata di ciascun esercizio del bilancio di previsione è applicato il fondo stanziato nella spesa dell'esercizio precedente e nella spesa è stanziato il medesimo fondo al netto del rimborso dell'anticipazione effettuato nell'esercizio». Infatti, al punto 3.20 del Principio viene precisato che «d) il fondo di cui alla lettera b) è iscritto in entrata del bilancio dell'esercizio successivo, come quota del risultato di amministrazione presunto allegato al bilancio di previsione, per un importo corrispondente al fondo risultante dal relativo prospetto dimostrativo, ed è reiscritto in spesa al netto del rimborso dell'anticipazione effettuato nell'esercizio».

Non è dato comprendere la ratio che ha indotto a prevedere, nel Principio contabile, punto 3.20-bis, diverse modalità di contabilizzazione delle anticipazioni di liquidità pluriennali in ragione delle diverse fonti normative, né del perché solo per quelle derivanti dal Dl 35/2013 e dall'articolo 243-quinquies del Dlgs 267/2000, la quota capitale deve essere finanziata a carico della situazione corrente del bilancio.

Delle due l'una: o anche la lettera d) del Punto 3.20-bis del Principio contabile è incostituzionale o, forse, un coraggioso intervento manutentivo di tale punto con la soppressione della prima parte del Principio che richiama gli interventi nomofilattici rimetterebbe tutto in discussione, anche se resterebbe alto il rischio di un terzo rinvio alla Consulta qualora i giudici contabili si ostinassero a non voler tener conto dell'effetto riduttivo della spesa sui bilanci generazionali generati dal doppio impatto del Fal e del Fcde e, almeno per questa quota, ritenere applicabile la lettera d) del Principio.