Il CommentoAmministratori

Cosi Semplificazioni e Rilancio si perdono nella babele dei decreti

di Ettore Jorio

La contemporaneità della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto legge Semplificazioni con il perfezionamento del percorso di conversione del decreto legge Rilancio mette in evidenza le contraddizioni del Governo in carica. Da una parte, un tentato rilancio del Paese che, con i suoi 365 articoli, mette nel piatto 55 miliardi, condizionandoli però all'emanazione di innumerevoli provvedimenti attuativi, dei quali - al lordo delle integrazioni prodotte alla Camera e approvate al Senato - un decreto del Capo dello Stato e nove Dpcm. Dall'altra, il Dl 76/2020 che, forte dei suoi 65 articoli, ha l'intento di semplificare le procedure utili al buon andamento della Pa, di colmare celermente le esigenze degli interessati a intrattenere con essa rapporti istituzionali e di garantire una soddisfacente risposta ai bisogni sociali, naturalmente accresciuti a seguito dell'epidemia da Covid-19.
Un decreto legge 76/2020 - che ha la funzione principale di derogare sensibilmente e correggere il codice degli appalti allo scopo di accelerare il percorso di realizzazione delle infrastrutture partendo dall'assegnazione della commesse - rappresenta quantomeno nella ratio un importante strumento del quale si avvertiva un assoluto e urgente bisogno. Il Paese ha bisogno di rinascere dalle ceneri cui l'ha condotto il Coronavirus, di ostacolare la temuta recrudescenza epidemica, di evitare quelle dispersioni di tempo che si registrano tra la volontà di realizzare un'opera pubblica e completarla, di impedire quei disastri colpevoli che hanno prodotto laceranti dispiaceri alla nazione intera.

C'è un però
A fronte di una innegabile esigenza, c'è tuttavia da fare qualche considerazione. La più rilevante riguarda il dovere di considerare l'operato dell'Esecutivo un ossimoro. Una conclusione cui si perviene prendendo semplicemente in considerazione l'elemento di assoluta celerità, che caratterizzerebbe (sino a oggi) il decreto Semplificazioni, con le ricadute del decreto Rilancio, minacciate da circa 200 provvedimenti attuativi, dei quali solo 69 aggiunti nel corso dei lavori parlamentari.

Troppa carne a cuocere
Analizzando, infatti, la composizione degli adempimenti (1 Dpr; 9 Dpcm; 115 decreti ministeriali; 5 pareri Garante privacy; 20 accordi Conferenze Stato-Regioni e Unificate; 2 conferenze rettori; 45 diversamente altri, tra i quali provvedimenti regionali e province autonome, linee guida, provvedimenti comitati tecnici eccetera) cui viene rimessa la concreta efficacia delle previsioni finalizzate al rilancio del Paese viene fuori una inadeguatezza dello strumento legislativo a concretizzare i suoi obiettivi. Ciò perché subordinati a una tempesta di adempimenti politici e burocratici, molti dei quali tarderanno verosimilmente a venire alla luce a tal punto da rendere non propriamente adeguato il provvedimento a far propri gli obiettivi.

Una brutta abitudine da correggere
Questo rilievo rappresenta, del resto, la peculiarità dell'agire del Governo in carica, che non fa altro che replicare provvedimenti che si caratterizzano per una efficacia molto tardiva, tanto da determinare il venire meno delle legittime aspettative delle categorie interessate, quali beneficiarie, e la collettività intera. Troppi Dpcm e tantissimi i provvedimenti attuativi che ne appesantiscono e ritardano gli effetti. Per non parlare dei 25/30mila euro di aiuto alle imprese venduti senza tenere conto dei noti lacci e laccioli delle banche, imposti dalle stesse a tutela del loro azionariato diffuso. Per non dire della cassa integrazione percepita con ritardi inaccettabili che ha fatto urlare alla «crocifissione» di Tridico, reo di aver dovuto fare in pochi mesi ciò che l'Inps ordinariamente faceva in tre anni. E ancora. Per l'ecobonus sui lavori ai fabbricati che verosimilmente non registrerà l'atteso successo, per difetto delle imprese coinvolte a sopportare i costi vivi degli interventi e di soggetti cui risulterà conveniente la posizione di cessionario definitivo del credito. Per non citare, infine, dell'anticipazione di liquidità per saldare i debiti commerciali delle Regioni, enti locali e aziende sanitarie e ospedaliere, contratti al 31 dicembre 2019 e iscritti nell'apposita piattaforma, che ha registrato un registrato un gigantesco flop. 12 miliardi venduti come toccasana per Comuni, Regioni e aziende sanitarie (quasi) tutti rifiutati. Rimandati al mittene, fatta eccezione per 1/1,2 miliardi complessivi con l'amara conseguenza che i creditori chissà quanto dovranno aspettare per incassare i loro quattrini, dopo anni di attesa. Una occasione difficile da accettarsi a causa delle garanzie pretese per assicurare la puntuale restituzione dei ratei distribuiti in trenta anni. Per lo più, non accettabile politicamente il blocco del turnover posto a tutela delle disponibilità finanziarie per fare fronte all'ammortamento del debito.