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Dalla Corte dei conti margini stretti ai Comuni per le donazioni di immobili

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di Amedeo Di Filippo

La cessione gratuita di beni pubblici non è di norma consentita perché incompatibile con i principi contenuti nelle norme che disciplinano la cessione e la valorizzazione del patrimonio disponibile delle Pa. Spetta alle singole amministrazioni operare una rigorosa valutazione delle condizioni che possono legittimarla, sulla base di una solida motivazione in merito all'idoneità della donazione al raggiungimento di uno specifico fine e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità. Lo afferma la sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei Conti con la delibera n. 164/2019.

Le premesse
Un sindaco ha chiesto alla sezione lombarda della Corte dei conti se, alla luce delle norme in vigore, sia possibile effettuare donazioni «modali» con vincolo di scopo a favore di enti, pubblici o privati, che svolgono funzioni di interesse pubblico. Premettendo che nell'ordinamento giuridico non c'è una norma specifica sulla facoltà degli enti locali di cedere immobili attraverso la donazione modale, i giudici contabili ricordano che l'articolo 3, comma 1, del Rd 2440/1923 riconduce gli atti di alienazione di beni pubblici nell'ambito dei «contratti attivi», dai quali deve conseguire un'entrata nel bilancio dell'ente. Ne consegue che, in linea generale e in assenza di una previsione normativa, non sono riconducibili alla facoltà di un ente locale atti di liberalità che non rispondano, patrimonialmente, a un interesse pubblico.
Inoltre, l'articolo 58 della legge 112/2008 pone l'obbligo di redigere un elenco dei singoli beni immobili che ricadono nel territorio di competenza, non strumentali all'esercizio delle funzioni istituzionali, suscettibili di valorizzazione ovvero di dismissione. E in ultimo, l'articolo 56-bis, comma 11, del Dl 69/2013 impone l'obbligo per gli enti territoriali di destinare prioritariamente all'estinzione anticipata dei mutui il 10% delle risorse derivanti dall'alienazione del patrimonio immobiliare disponibile.

I criteri
A detta della sezione Lombardia, la cessione gratuita di un immobile non costituisce una modalità di valorizzazione, posto che il legislatore ha ipotizzato esclusivamente fattispecie di concessioni onerose. Infatti, il patrimonio disponibile ha come fine quello di produrre reddito e una cessione gratuita non crea entrate. La donazione, anzi, espone gli enti a un potenziale depauperamento e, per questo, è incompatibile con gli scopi istituzionali, sia che si agisca con moduli di diritto pubblico sia con strumenti di diritto comune.
Pur non esistendo un divieto o una norma che preveda l'incapacità a donare da parte degli enti, la donazione è legittima solo in funzione dell'interesse pubblico perseguito e salvo vi sia un'espressa autorizzazione di legge o una chiara compatibilità con gli scopi istituzionali. È inoltre necessaria un'attenta ponderazione comparativa, in cui va tenuto in massima considerazione l'interesse alla conservazione e alla corretta gestione del patrimonio pubblico.

I limiti delle donazioni
La conclusione cui giungono i giudici contabili è che la cessione gratuita di beni pubblici non sia consentita perché incompatibile con i principi contenuti nelle norme che disciplinano la cessione e la valorizzazione del patrimonio disponibile della Pa. Appartiene, dunque, esclusivamente alla responsabilità e alla competenza della singola amministrazione «la rigorosa valutazione in concreto (ed in casi eccezionali) della sussistenza delle condizioni legittimanti la cessione gratuita di un bene immobile, sulla base di una necessaria ed esaustiva motivazione in merito all'idoneità della donazione modale per il raggiungimento di uno specifico fine dall'ente locale e nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità sotto il profilo economico». La motivazione deve inoltre dare conto dell'assenza di altre opzioni che potrebbero consentire il raggiungimento dell'interesse pubblico perseguito dall'ente nell'ambito dei propri fini istituzionali.

La delibera della Corte dei Conti Lombardia n. 164/2019

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