Danno all'immagine della Pa, Corte dei conti tenuta a una rigorosa verifica delle ripercussioni negative
Anche attraverso l'analisi della risonanza mediatica della vicenda per effetto della ripetuta diffusione dei fatti lleciti
La condanna, passata in giudicato, per un reato contro la pubblica amministrazione, commesso da un soggetto legato da un rapporto di servizio e il conseguente clamore mediatico derivante dalla condotta illecita del soggetto riconosciuto come responsabile, sono sufficienti a configurare l'azione del giudice contabile per danno all'immagine.
Questa azione, tuttavia, richiede: a) il circostanziato accertamento della gravità del reato commesso e, quindi, la verifica della reiterata violazione dei doveri istituzionali finalizzata a procurare un indebito arricchimento in danno dell'amministrazione di appartenenza; b) la presenza dell'elemento soggettivo del dolo; c) la valutazione delle ripercussioni negative sull'immagine dell'amministrazione di appartenenza del dipendente, anche attraverso l'analisi della risonanza mediatica della vicenda per effetto della ripetuta diffusione dei fatti illeciti. È quanto si ricava dalla lettura della sentenza n. 219 della Corte dei conti, Sezione Giurisprudenziale le per la Regione Veneto, depositata il 6 ottobre 2021.
Una volta che risulta acclarato che il dipendente abbia commesso il reato contestato in sede penale, infatti, il giudice contabile è tenuto a verificare se tale condotta sia stata foriera, e in quale misura, di danno all'immagine della pubblica amministrazione.
Richiamando la pacifica giurisprudenza contabile, la sentenza pone in risalto che la diffusione della notizia (clamor fori) deve costituire il modo attraverso il quale è realizzato il nocumento alla reputazione e alla onorabilità dell'ente pubblico, per effetto dell'illecito perpetrato dal proprio dipendente.
Rilevata la sussistenza del danno all'immagine, il Collegio, in relazione alla sua concreta quantificazione, osserva che la lesione dell'immagine pubblica, anche se non comporta una diminuzione patrimoniale diretta, è tuttavia suscettibile di una valutazione patrimoniale, da effettuarsi equitativamente (articolo 1226 del codice civile), sulla base dei parametri oggettivi (somme di danaro o utilità patrimoniali conseguite), soggettivi (ruolo ricoperto all'interno dell'amministrazione di appartenenza) e sociali (risonanza e sentimento di discredito e di sfiducia delle istituzioni rappresentate, anche in relazione all'offesa recata indirettamente ad altri dipendenti e colleghi che, invece, operano con dedizione, onestà, rettitudine e diligenza).
Al riguardo il Collegio ha confermato l'ipotesi del requirente che pur prendendo in considerazione il criterio presuntivo stabilito dall'articolo 1, comma 1-sexies, della legge 20/1994 (secondo cui, l'entità di tale danno si presume, «salvo prova contraria», pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale o di altre utilità illecitamente percepita dal responsabile), se ne è discostato, fornendo (articolo 2697 del codice civile), congrui parametri per la quantificazione del danno, e avvalendosi dei criteri generali elaborati dalla giurisprudenza contabile, come ad esempio, le allegazioni probatorie fornite dal requirente, l'obiettiva difficoltà di precisa individuazione del suo esatto ammontare (articolo 1226 del codice civile), sopperendovi attraverso elementi di prova, anche presuntivi od indiziari (articolo 2729 del codice civile), il ruolo e la qualifica dell'autore dell'illecito.