Personale

Decreto reclutamento, carriere più veloci e requisiti trasversali

Elemento primario della comparazione dev'essere la valutazione positiva del dipendente negli ultimi tre anni

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di Gianluca Bertagna e Davide d'Alfonso

Ulteriore spinta alle carriere dei dipendenti pubblici nella conversione in legge del Dl 80/2021, nel quadro dell'ennesima modifica dell'articolo 52, comma 1-bis, del Dlgs 165/2001.

Nel testo emendato dal Parlamento permangono gli elementi essenziali delle nuove progressioni verticali nel pubblico impiego, e si aggiungono però alcuni dettagli che sembrano suggerire applicazioni più elastiche rispetto alla prima stesura. Il legislatore conferma inoltre l'incidenza dell'istituto dal punto di vista della capacità assunzionale degli enti: se ciò è in qualche modo automatico per Regioni e Comuni alla luce delle disposizioni del Decreto Crescita, va sempre tenuto in considerazione per gli enti tuttora soggetti alle regole del turnover, come le Unioni di comuni.

Da un lato si ribadisce, conseguenza della necessità costituzionalmente tutelata di garantire adeguato accesso dall'esterno, l'obbligo di riservare almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili a concorsi pubblici. A differenza della precedente formulazione, però, non si ragiona più di stabilire una riserva sulle stesse procedure concorsuali in favore di dipendenti interni che abbiano i requisiti necessari.

Con un mezzo salto all'indietro alla vecchia impostazione delle cosiddette "verticali", ora la metà dei posti viene messa in palio attraverso l'indizione di procedure separate, meramente comparative (senza quindi alcuna prova selettiva), destinate ai dipendenti dell'amministrazione e da effettuarsi sulla base di alcuni elementi che la norma descrive in senso generale. Così, con un meccanismo che richiama quello già operante anche in sede pattizia per le progressioni economiche orizzontali, gli impiegati pubblici potranno fare il "salto" di area, leggasi di categoria (e, per gli enti locali, di qualifica). È in ogni caso necessario un intervento regolamentare, presso ciascun ente, per definire in modo dettagliato requisiti, punteggi, procedure di partecipazione, partendo dall'architettura di fondo definita dalla fonte legale.

La norma nella versione finale conferma che elemento primario della comparazione dev'essere la valutazione positiva riportata dal dipendente negli ultimi tre anni, accompagnata dall'assenza di provvedimenti disciplinari, nonché dalla valorizzazione di titoli di studio o professionali ulteriori rispetto a quanto richiesto per l'accesso dall'esterno. Fin qui, elementi oggettivi e tutto sommato di semplice individuazione e valorizzazione. La versione emendata introduce però la previsione, tra i profili che le amministrazioni potranno tenere in considerazione, anche di non meglio precisate «competenze professionali». L'indefinitezza della disposizione proietta all'orizzonte l'ombra di applicazioni difformi e assai elastiche dello strumento. Ribadito infine all'interno del comma il rilievo di numero e tipologia degli incarichi ricoperti, che potrebbe leggersi, ad esempio, come l'assunzione di ruoli di specifica responsabilità o di posizione organizzativa in categoria inferiore rispetto a quella cui si accede.

Non solo. Come noto tra le novità del Decreto reclutamento spicca una rinnovata spinta al ruolo della contrattazione collettiva nazionale. Tra le previsioni di maggior interesse, la prefigurata introduzione di una nuova categoria superiore, un'area funzionariale di elevata specializzazione.

L'articolo 52, comma 1-bis, come novellato, attribuisce alla stessa contrattazione collettiva la possibilità, a valle della ventilata revisione degli ordinamenti professionali, di definire tabelle di corrispondenza tra vecchi e nuovi inquadramenti, basando l'eventuale "ricollocazione" del personale in quelli che potrebbero essere i futuri ordinamenti, esclusa la nuova area superiore, sulla base di «requisiti di esperienza e professionalità maturate ed effettivamente utilizzate dall'amministrazione di appartenenza per almeno cinque anni». Il tutto anche derogando al possesso del titolo di studio richiesto per l'accesso dall'esterno.

Si tratta evidentemente solo di una opportunità, concessa alle parti che stipuleranno il prossimo rinnovo contrattuale e correlata a una revisione dell'ordinamento professionale che è nel limbo da tempo innanzitutto per la sua indubbia complessità. Cionondimeno pare ipotizzarsi, in senso contrario a quanto osservato per anni, l'opzione di introdurre progressioni di carriera anche per coloro che, privi del titolo di studio necessario, vantano però esperienza e requisiti di pregio.

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