Derivati, Venezia vince a Londra: Comune da risarcire
L'Alta Corte dichiara nulli i contratti del 2007 - L’Ente non verserà i pagamenti futuri: 30 milioni previsti fino al 2037
Le vittorie fuori casa valgono sempre doppio. Soprattutto se la “partita” è finanziaria e si gioca su un tema dolente per molti Enti locali italiani: quello dei contratti derivati. Ecco perché la sentenza che l’Alta Corte di Giustizia di Londra ha emesso in questi giorni riguardo i derivati stipulati dal Comune di Venezia con Dexia Crediop e Intesa Sanpaolo ha un sapore storico: perché mai (eccezion fatta per il Comune di Prato che vinse in primo grado e perse in secondo) un Ente locale italiano aveva vinto una causa sui derivati presso la Corte di Londra. Ma Venezia (anche se siamo ancora in primo grado) ce l’ha fatta: la Corte ha infatti dichiarato che i contratti derivati sottoscritti nel 2007 fra il Comune e le Banche sono nulli e inapplicabili. Di fatto la Corte ha ritenuto che il Comune non avesse la capacità giuridica di stipulare la loro rinegoziazione.
Nel concreto, Venezia è ora legittimata a sospendere i pagamenti a favore delle Banche dei differenziali futuri (la scadenza dei derivati era stabilita al 2037), con un risparmio che il Comune quantifica in circa 30 milioni di euro. Inoltre Venezia ha diritto ad ottenere la restituzione delle somme versate alle Banche dalla data di sottoscrizione dei contratti ad oggi. Cifra che lo stesso Sindaco (si veda intervista a fianco) quantifica in qualcosa come 70 milioni. Ci sono però due incognite ancora. Uno: questa sentenza è solo di primo grado, per cui potrebbe essere ribaltata come accaduto al comune di Prato. Per ora Intesa Sanpaolo prende tempo e comunica che «si riserva di esaminare con attenzione la decisione della Corte londinese, le relative conseguenze economiche e la possibilità di impugnarla». Due: la sentenza prevede che le banche abbiano il diritto di detrarre dall’importo a favore del Comune i costi sostenuti per coprire i rischi legati ai derivati. E dato che questi questi rischi non sono stati ancora quantificati (sarà fatto in una nuova udienza), il beneficio economico per il Comune e l’esborso per le banche potrebbero essere notevolmente ridimensionati.
La vicenda
Tutto parte da un bond (chiamato Rialto, come il ponte) emesso dal Comune nel 2002. Nel 2007 questo prestito obbligazionario fu ristrutturato con alcune banche dall’allora Giunta di Centrosinistra, per allungarne la scadenza. Il problema è che il bond Rialto era associato a un contratto derivato (stipulato con Bear Stearns) che, al momento della ristrutturazione nel 2007, aveva un valore di mercato negativo per 12 milioni di euro. Rinegoziando il bond e chiudendo il derivato, il Comune avrebbe in teoria dovuto pagare i 12 milioni a Bear Stearns. Per non farlo, il Comune ha stipulato un altro derivato (questa volta con Intesa e Dexia Crediop) che nel prezzo inglobava anche la somma necessaria per colmare il buco di 12 milioni. Così il nuovo derivato è stato “prezzato” in maniera squilibrata (cioè con un floor alto), in modo da generare subito una somma in grado di colmare il buco precedente. E proprio qui nascono i problemi: perché il Comune ha risparmiato 12 milioni nell’immediato, ma poi ha iniziato ad accumulare perdite successivamente.
La sentenza
Dopo tanti anni di battaglie, in cui il Comune è stato assistito da Ifa Consulting per l’analisi dei derivati e dall’avvocato Carlo Isnardi dello studio Studio legale associato Loiaconi per la parte legale, è arrivata la sentenza a Londra. Che ha preso come base a sua volta una sentenza della Cassazione a Sezioni Riunite del maggio 2020 relativa a un derivato simile del Comune di Cattolica. La Suprema Corte - tra le tante cose - aveva stabilito che se un derivato permette al Comune un incasso immediato (il cosiddetto upfront), quell’incasso costituisce un debito del Comune. E come tale non solo va autorizzato dal Consiglio, ma è vietato dall’articolo 119 della Costituzione che permette agli Enti locali di indebitarsi solo per fare investimenti.
Ebbene: il giudice Foxton dell’Alta Corte di Giustizia di Londra ha riconosciuto che il contratto derivato di Venezia non solo era speculativo (perché era prezzato in maniera tale da coprire il buco pregresso di 12 milioni) ma dava al Comune un incasso upfront (i 12 milioni, appunto). Ebbene: proprio questi 12 milioni, in linea con quanto stabilito dalla Cassazione, sono stati considerati debito anche dal giudice inglese. Debito incostituzionale. Così il contratto derivato è stato dichiarato nullo e inapplicabile. Alla prossima udienza il compito di stabilire quanto il Comune potrà recuperare davvero. Al netto - ovvio - di ricorsi.