Distanze tra edifici, le norme regionali possono derogare ai vincoli comunali
La Consulta promuove il Piano Casa Veneto e chiarisce il confine Stato/Regione e Regione/Ente locale sulle norme di governo del territorio
In un colpo solo la Consulta ha messo a segno quattro risultati: ha messo in riga gli Enti locali che introducono indebite restrizioni alle norme statali sulle distanze tra gli edifici; ha meglio precisato il confine tra la legittimità delle regioni a legiferare sulle norme di governo del territorio e la competenza statale sulle norme civilistiche; ha meglio precisato il confine tra la potestà legislativa delle regioni in materia di governo del territorio e l'autonomia dell'ente locale; ha certificato (per la seconda volta) la costituzionalità del Piano Casa Veneto. La pubblicazione della pronuncia n.119 della Corte Costituzionale ha fatto esultare i costruttori edili locali che (insieme all'Associazione veneta dei comuni), hanno seguito la questione con molta partecipazione (anche se la Corte ha dichiarato inammissibile il coinvolgimento diretto delle due associazioni nella controversia).
La Corte, sintetizza il presidente dei costruttori del Veneto, Paolo Ghiotti, ha dichiarato infondata la presunta illegittimità della norma di interpretazione autentica di una norma del Piano Casa Veneto che considerava inderogabili le previsioni sul distanziamento previste da disposizioni statali, e non anche quelle stabilite da strumenti urbanistici e regolamenti comunali. «È una vittoria importante - sottolinea Ghiotti - che riconosce anche le istanze ed i rilievi posti da Ance Veneto che ha ricorso insieme alla Regione e all'Anci Veneto. Abbiamo voluto essere a fianco della Regione del Veneto sul ricorso per ribadire la nostra volontà di essere interlocutore serio ed affidabile. Ci auguriamo che la sentenza metta la parola fine alle controversie e permetta al Piano Casa di liberare gli effetti positivi sull'edilizia senza scontrarsi con i freni della burocrazia».
La presunta illegittimità costituzionale
Il "freno della burocrazia" indicato dall'imprenditore, nel caso specifico, è da ricondurre all'iniziativa del comune di Alta Vicentina, che ha contestato la legittimità di un intervento edilizio promosso da un privato ai sensi del Piano Casa Veneto (legge regionale n.14/2009). Il diniego è stato impugnato al Tar Veneto che ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale perché, nella sua interpretazione, la controversia sembrava sconfinare dalla materia della gestione del territorio (a legislazione concorrente) nel rapporti definiti dal codice civile (di esclusiva competenza statale). In realtà, come spiegano i giudici, quest'ultimo dubbio era ingiustificato.
Il fatto
L'intervento contestato dal comune riguardava la Dia per un intervento di ampliamento e ristrutturazione di un edificio ai sensi del Piano Casa regionale (precisamente articolo 9, comma 8 della legge n.14/2009) con contestuale ristrutturazione di un manufatto condonato a ridosso del confine. Intervento, quest'ultimo che avrebbe derogato alla distanza minima di cinque metri dal confine stabilita dalle norme tecniche del comune. Deroga che, tuttavia, veniva legittimata dall'interpretazione della giurisprudenza secondo cui - riassumono i giudici della Consulta - sono da considerare inderogabili «le sole distanze previste da disposizioni statali, non anche quelle stabilite da strumenti urbanistici e regolamenti comunali».
Ma siccome, più recentemente, era emerso un diverso orientamento della giurisprudenza amministrativa, volto a «qualificare come inderogabili anche le distanze di matrice locale, il Comune di Altavilla Vicentina aveva inibito i lavori esposti in denuncia, e l'inibitoria si era consolidata per mancata impugnazione». Di fronte al freno degli enti locali, era intervenuta nuovamente la Regione, che nel 2016 ha approvato una norma di "interpretazione autentica" dell'articolo 9, comma 8, che, in sostanza, chiariva e ribadiva che l'inderogabilità poteva riguardare le norme statali, ma non quelle comunali. Dopo la norma il privato ha presentato istanza di riesame, che il comune ha però respinto. La controversia nasce appunto dall'impugnazione al Tar del diniego del comune.
Distanze tra edifici, il punto di equilibrio tra Stato e Regioni
Come si diceva, il primo chiarimento dei giudici ha riguardato la presunta illegittimità costituzionale della norma regionale in quanto riguardante il tema delle distanze tra edifici, materia di rapporti tra privati e, pertanto - secondo il Tar - di competenza esclusivamente statale in quanto attinente all'ordinamento civile. I giudici fanno ordine sulla questione, riconoscendo la legittimità dell'operato della Regione. «Poiché - spiegano i giudici - i fabbricati insistono su di un territorio che può avere, rispetto ad altri specifiche caratteristiche, la disciplina che li riguarda - e in particolare quella dei loro rapporti nel territorio stesso - esorbita dai limiti propri dei rapporti interprivati e tocca anche interessi pubblici, la cui cura deve ritenersi affidata anche alle Regioni, perché attratta all'ambito di competenza concorrente del governo del territorio».
Ne discende che alle Regioni non è «precluso fissare distanze in deroga a quelle stabilite nelle normative statali, purché la deroga sia giustificata dal perseguimento di interessi pubblici ancorati all'esigenza di omogenea conformazione dell'assetto urbanistico di una determinata zona, non potendo la deroga stessa riguardare singole costruzioni, individualmente ed isolatamente considerate». In conclusione, la deroga alla disciplina delle distanze realizzata dagli strumenti urbanistici è stata ritenuta legittima «sempre che faccia riferimento ad una pluralità di fabbricati ("gruppi di edifici") e sia fondata su previsioni planovolumetriche, che evidenzino una capacità progettuale tale da definire i rapporti spazio-dimensionali e architettonici delle varie costruzioni considerate come fossero un edificio unitario, ai sensi dell'art. 9, ultimo comma, del d.m. n. 1444 del 1968, disposizione, quest'ultima, che rappresenta la sintesi normativa del punto di equilibrio tra la competenza statale in materia di ordinamento civile e quella regionale in materia di governo del territorio».
Distanze tra edifici, il punto di equilibrio tra Ente locale e Regione
Dopo aver chiarito il confine Stato/Regione, la Consulta entra più nello specifico della norma regionale per indicare - seguendo il dettato della legge 14 del Veneto - il confine tra l'autonomia dell'ente locale e i poteri del legislatore regionale. Preliminarmente, si chiarisce che la regione, con l'interpretazione autentica del 2016 alla legge n.14/2009, ha voluto superare una «oscillante interpretazione giurisprudenziale» per «consentire gli interventi di rivitalizzazione del patrimonio edilizio esistente, e cioè a realizzare un obiettivo generale di interesse pubblico, perseguito con disposizioni incentivanti di carattere straordinario, limitate nel tempo e operanti per zone territoriali omogenee».
Entrando ancora di più nel merito, i giudici osservano che la norma regionale si «rivela più conservativa» delle norme statali dove nel frattempo «si è registrato un allentamento del regime delle distanze nelle zone omogenee totalmente o parzialmente edificate, al medesimo fine di perseguire obiettivi di rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, fattore primario in una strategia di riduzione del consumo di suolo». Il riferimento è al Dl Sblocca cantieri (n.32/2019, articolo 5, comma 1, lettera b-bis) che ha circoscritto il limite dei 10 metri di distanza tra gli edifici separati da strade carrabili solo nelle zone di espansione (C) e non più in quelle totalmente o parzialmente edificate (C).
Di fatto, la Regione Veneto ribadisce la cogenza delle distanze indicate nel Dm 1444 «mentre consente la deroga unicamente per le eventuali maggiori distanze di fonte comunale (nella specie, i cinque metri dal confine prescritti dalle norme tecniche del Comune di Altavilla Vicentina)». In conclusione: «la correlazione alla materia del governo del territorio, come legittima la norma regionale di deroga alle distanze nel rapporto con la competenza esclusiva statale nella materia dell'ordinamento civile, così la legittima nel rapporto con le funzioni comunali di pianificazione territoriale».
Quanto ai poteri e competenze degli enti locali, la Consulta ricorda che la pianificazione urbanistica ed edilizia sono sottoposte alla programmazione e agli indirizzi delle Regioni: «Il "sistema della pianificazione", che assegna in modo preminente ai Comuni, quali enti locali più vicini al territorio, la valutazione generale degli interessi coinvolti nell'attività urbanistica ed edilizia, non assurge, dunque, a principio così assoluto e stringente da impedire alla legge regionale - fonte normativa primaria, sovraordinata agli strumenti urbanistici locali - di prevedere interventi in deroga quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti. Ciò non può non valere anche in tema di distanze degli edifici, nei limiti in cui la disciplina regionale delle stesse possa rientrare nella materia di legislazione concorrente del governo del territorio ex art. 117, terzo comma, Cost., in quanto una differente interpretazione equivarrebbe a cristallizzare l'art. 873 cod. civ. ad una fase pre-costituzionale».
Nel merito, si osserva «che le deroghe alle distanze di fonte comunale siano rapportate dalla norma regionale, come autenticamente interpretata, a interventi quantitativamente, qualitativamente e temporalmente circoscritti, poiché, come già visto, gli interventi agevolati dalla legge veneta per il "piano casa" possono svolgersi unicamente con precisi limiti oggettivi, soltanto sugli edifici esistenti e nell'arco della durata del "piano" (peraltro ormai esaurita alla data del 31 marzo 2019 per effetto dell'abrogazione disposta dalla legge reg. Veneto n. 14 del 2019)». Inoltre la norma incideva solo sugli edifici esistenti e non sulle nuove costruzioni «in relazione alle quali, dunque, le distanze stabilite dai regolamenti locali hanno continuato a trovare applicazione».
La «riserva di tutela» per gli enti locali
Non solo. La norma del Veneto riconosce agli enti locali una «"riserva di tutela", attivabile mediante una delibera di sottrazione, per an o per quomodo, all'applicazione della normativa derogatoria sul "piano-casa"». «Da ciò discende - prosegue la sentenza - che, ove mai una spoliazione di autonomia vi fosse stata in danno dei Comuni, essa non sarebbe stata prodotta dalla norma di interpretazione autentica oggi denunciata, ma semmai dalle norme che hanno abrogato il regime opzionale e privato di effetto le pregresse delibere comunali di attivazione della "riserva di tutela" (rispettivamente, art.10, comma 9, ed art. 14, comma 2, della legge reg. Veneto n. 32 del 2013), norme viceversa non censurate». Non risulta, dall'ordinanza di rimessione, che il comune di Altavilla Vicentina abbia attivato la riserva di tutela. A maggior tutela dell'interesse pubblico, la norma regionale ha anche previsto il ricorso a «una conferenza di servizi tra gli enti interessati per il coordinamento degli strumenti di pianificazione incidenti sul governo del territorio».
La legge regionale, pertanto, supera a pieni voti il vaglio della Corte: «Si può quindi affermare - scrive la Consulta - che, nel consentire interventi in deroga agli strumenti urbanistici o ai regolamenti locali, il legislatore regionale veneto, in attuazione dell'intesa sancita tra Stato, Regioni ed enti locali in sede di Conferenza unificata il 1° aprile 2009, ha compiuto una ponderazione degli interessi pubblici coinvolti, attraverso sia la limitazione dell'entità degli interventi ammessi, sia l'esclusione di alcune componenti del patrimonio edilizio dall'ambito di operatività della legge regionale censurata e delle disposizioni di deroga. E ciò ha fatto consentendo, altresì, ai Comuni, nella sua prima applicazione, di sottrarre i propri strumenti urbanistici e i propri regolamenti all'operatività delle deroghe ammesse dalla medesima legge regionale».
Conclusione
Concludono i giudici: «La norma regionale in scrutinio - e si intende l'interpretazione autentica da essa recata - supera, dunque, la verifica di proporzionalità, in aderenza col principio di sussidiarietà verticale, poiché gli interventi in deroga che la norma stessa consente, da un lato, soddisfano interessi pubblici di dimensione sovracomunale e, dall'altro, per i già segnalati limiti quantitativi, qualitativi e temporali, non comprimono l'autonomia comunale oltre la soglia dell'adeguatezza e della necessità».
La pronuncia della Corte Costituzionale
La pronuncia della Corte Costituzionale