Il CommentoFisco e contabilità

Fondi misti di private equity in partnership pubblico-privati

di Fabio L. Sattin (*)


È oramai chiaro a tutti che per superare questa fase di profonda crisi siano necessari strumenti di intervento di natura straordinaria che possono giustificare l'impiego massivo di risorse pubbliche. Ed oggi, a differenza del passato, le risorse ci sono. A noi la grandissima responsabilità di utilizzarle al meglio ed in modo oculato nell'ambito di una chiara visione di politica industriale e di dove vogliamo puntare per il futuro del nostro Paese. Un'occasione unica, irripetibile, da non perdere!

Tuttavia, nell'ambito di un'economia di mercato, quando si fa riferimento ad intervento dello Stato nel capitale delle imprese, il presupposto fondamentale è che questi interventi siano per loro natura temporanei e, superato il momento di crisi che li ha resi necessari, consentano, con meccanismi chiari e predefiniti, di ristabilire un appropriato equilibrio delle logiche del mercato e della concorrenza, evitando rischi di "spiazzamento" degli operatori privati o un'eccessiva o permanente presenza del soggetto pubblico nell'ambito del tessuto economico produttivo del Paese. La criticità di questi aspetti è ben nota e tutti gli strumenti che negli anni si sono identificati nei vari Paesi per affrontare crisi di vario genere hanno sempre cercato, con modalità diverse, di coniugare tali importanti equilibri. E così dovremo fare anche noi. Ma a questo punto è necessario passare "dalla teoria alla pratica" identificando nello specifico quali possano essere gli strumenti più adatti ad ottenere questi importanti obiettivi e, spesso, copiare dalle esperienze estere (di successo) può essere particolarmente efficace. Una ipotesi concreta potrebbe essere quella di utilizzare una parte rilevante del Patrimonio Destinato di Cdp (o anche un suo comparto specifico) per la creazione di una serie di fondi misti "pubblico-privato" (peraltro già noti ed utilizzati anche nel nostro Paese) destinati a determinati settori che si ritengono importanti per il nostro sviluppo ed in cui è presente un evidente (e auspicalmente temporaneo) fallimento di mercato. Si pensi ad esempio alle operazioni di turnaround, oggi purtroppo necessarie, o ai settori delle infrastrutture, del turismo, del venture capital, delle tecnologie in generale all'interessantissimo strumento dei search fund o agli investimenti aventi come oggetto l'ambiente e la sostenibilità. In questo modo si potrebbe beneficiare di un effetto leva sulla raccolta dei fondi "dedicati" che consentirebbe di moltiplicare le risorse per le imprese, utilizzando al meglio le competenze sviluppate dal settore privato e, ove possibile, promuovendo anche nuovi operatori professionali nazionali.

Tuttavia, come si suol dire, "il diavolo sta nei dettagli" e per funzionare bene questi fondi devono essere strutturati in modo adeguato e soprattutto utilizzare meccanismi di allineamento degli interessi coerenti con il raggiungimento degli obbiettivi di entrambe le parti coinvolte, quella pubblica e quella privata. L'obiettivo, come abbiamo detto, non è infatti spendere "tanto", ma spendere "bene" ed in modo intelligente ed oculato. Ed eccoci al tema ed alla proposta specifica. Suggerito dall'Evca (oggi Invest Europe) come metodo ottimale per strutturare i fondi misti a capitale pubblico e privato (EVCA, 2001) ed utilizzato da numerosi fondi misti di notevole importanza nel mondo, l'approccio denominato "up side leveraged scheme" prevede che nell'ambito di un fondo misto pubblico/privato, in caso di perdite, i capitali pubblici e quelli privati vengano a sopportare nelle stesse proporzioni i danni economici conseguenti senza meccanismi di recupero "a fondo perduto" a favore dei soggetti privati (distribuzione simmetrica delle perdite), mentre in caso di successo (identificabile nel raggiungimento di un ritorno effettivo sugli investimenti effettuati) i capital gains realizzati, anziché essere distribuiti fra ente pubblico e soggetto privato proporzionalmente alle quote sottoscritte nel fondo, vengano attribuiti in massima parte al soggetto privato, previo recupero da parte del soggetto pubblico di tutti i capitali originariamente investiti e anche di un ritorno (quantunque calmierato) a livello di tasso di interesse (distribuzione asimmetrica in caso di successo).

In sostanza, tale schema non protegge gli investitori privati dalle perdite e dal costo del fallimento, ma agisce da moltiplicatore dei benefici finanziari derivanti dai ritorni effettuati sugli investimenti agendo così da incentivo agli investitori privati ma solo subordinatamente al successo dell'iniziativa assicurando in tal modo un oculato ed attento utilizzo delle risorse pubbliche nonché un chiaro orientamento all'effettivo raggiungimento di un ritorno sull'investimento quantunque spesso in tempi più lunghi e di livello inferiore rispetto a quelli di mercato, come è normale sia nei settori ove l'intervento della Stato è proprio volto a stimolare gli investimenti dove esiste un equity gap ("fallimento" del mercato).Non è l'unico "meccanismo di allineamento" al quale si possa pensare e la sua applicabilità è necessariamente limitata. Ma potrebbe concretamente contribuire alla corretta e sana realizzazione delle partnership pubblico/privato che, se ben pensate e adeguatamente strutturate, possono svolgere un ruolo molto importante per aiutarci ad uscire da questa difficile situazione ponendo al contempo le basi per un futuro economicamente sostenibile e duraturo.

(*) Presidente esecutivo e socio fondatore di Private Equity Partners, professore a contratto di Private Equity e Venture Capital, Unversità Bocconi Milano