Urbanistica

I vincoli imposti sulle aree edificabili non sfuggono alla lente dell'Irpef

Cassazione: solo l'inedificabilità assoluta evita l'imponibilità delle plusvalenze. Tra le situazioni borderline ci sono quelle in cui si rileva una edificabilità di fatto

di Giorgio Gavelli

Eventuali vincoli di natura pubblicistica imposti sull’area edificabile che viene ceduta non impediscono - nella maggior parte dei casi – di ricadere nell’ambito delle plusvalenze imponibili Irpef. Solo un vincolo assoluto di inedificabilità può, secondo la prevalente giurisprudenza della Cassazione, evitare l’applicazione dell’articolo 67, comma 1, lettera b), Tuir, anche se non tutte le Commissioni di merito sono d’accordo. È quanto si ricava dall’esame della giurisprudenza di questi anni riferita alle ipotesi (non rare) in cui una persona fisica o un ente non commerciale ceda a terzi un’area caratterizzata da una edificabilità limitata. Le ipotesi possono essere diverse, in base alle caratteristiche intrinseche dell’area o dalla sua destinazione urbanistica, spesso legata a progetti infrastrutturali di natura pubblica (parcheggi, scuole, aeroporti, eccetera).

L’intervento della Cassazione

La Corte di cassazione in questi anni è stata più volte chiamata ad affrontare fattispecie “al confine” dell’edificabilità, ossia aree che dallo strumento urbanistico erano definite edificabili ma con una serie di vincoli che ne limitavano lo sfruttamento.

È stato, ad esempio, affermato (sentenza 13129/2018) che la nozione di edificabilità non si identifica e non si esaurisce in quella di edilizia abitativa, cosicché anche un’area classificata in forza di previsione di Prg in zona F/1, può considerarsi edificabile, non essendo un tale vincolo idoneo ad escludere la vocazione edificatoria del suolo ed il potenziale sfruttamento economico da parte del proprietario. Una posizione sicuramente da tener presente per le cessioni intervenute nel 2020 e con plusvalenza da dichiarare nel modello Redditi 2021, anche se, tanto le pronunce della Suprema corte, quanto alcune pronunce di merito sottolineano che un vincolo di inedificabilità “assoluto” può far riconoscere come non imponibile la relativa plusvalenza (sul tema si veda anche lo studio del Notariato n. 16-2018/T).

L’espropriazione

La tesi opposta si basa, in particolare, sul testo dell’articolo 11, comma 5 della legge 413/1991, che, in caso di esproprio o cessione volontaria nell’ambito di procedimenti espropriativi, individua come imponibile la sola plusvalenza per le zone omogenee identificate alle lettera da A a D degli strumenti urbanistici, escludendo quindi, oltre alle lettera E (aree agricole, su cui non vi dovrebbe essere alcun dubbio, emblematiche la sentenza 12324/2017 e la risposta a interpello 561/2020), anche le ulteriori destinazioni, come quelle contraddistinte dalle lettere F e G. L’orientamento non pare aver sino ad ora scalfito le certezze della Cassazione, e, comunque, non è esso stesso privo di criticità (sentenza 8287/2018, circolare 194/1998 e risposta ad interpello 162/2018). Altro caso esaminato è quello della cessione di un’area pertinenziale al fabbricato, la quale, in particolare se ceduta separatamente rispetto ad esso, non può fruire delle esimenti riconosciute al fabbricato dall’articolo 67 del Tuir.

L’edificabilità di fatto

Su un terreno molto scivoloso si trovano alcune sentenze della Cassazione che sembrano individuare una sorta di “edificabilità di fatto” (o potenziale), ossia non risultante dalla pianificazione urbanistica comunale ma da circostanze concrete, quali la collocazione dell’area o la presenza di opere di urbanizzazione (sentenze n. 5166/2013 e 20137/2012). Si tratta di affermazioni a nostro avviso superate e per certi versi censurabili, in quanto fonte di notevoli incertezze in un ambito in cui il legislatore stesso ha voluto fare la massima chiarezza. Con l’articolo 36, comma 2, del Dl 223/2006 è stato sancito che (ai fini dell’Iva, dell’Ici/Imu, dell’imposta di registro e delle imposte dirette) un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo (si vedano la sentenza n. 10693/2018 e l’ordinanza n. 21284/2018). Altre ipotesi di edificabilità non dovrebbero trovare alcuna ragion d’essere nel nostro ordinamento, se non nel (raro) caso di terreni privi di una qualificazione urbanistica ovvero urbanizzati in spregio ad essa.

La permuta dell’area

Infine, è abbastanza frequente il caso della permuta dell’area edificabile “in cambio” di un immobile ancora da costruire (“cosa futura”). Nonostante qualche ufficio tenti di considerare imponibile la plusvalenza alla data dell’atto di permuta, appare evidente che “l’incasso” – vale a dire il momento in cui, ai sensi dell’articolo 67 Tuir, si realizza l’eventuale plusvalenza – si ha solo al momento in cui il fabbricato acquisito in permuta giunge ad esistenza ed entra nel patrimonio del soggetto che ceduto l’area (Cassazione, ordinanze 27303/2017, 20758/2017 e sentenza 6171/2017).

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