Il buco nero dei fondi anti dissesto per i territori: 21 miliardi senza strategia
Risorse in mille rivoli: manca una regia nazionale e il monitoraggio di spesa
Un Paese di paradossi. È tra i più piovosi d’Europa, ma riesce a immagazzinare appena il 4% dell’acqua, complici infrastrutture obsolete, perdite sulla rete, dighe bloccate o da sfangare. È anche tra i più fragili dal punto di vista idrogeologico - con il 94% dei Comuni a rischio frane, alluvioni ed erosione e 8 milioni di persone che vivono in aree ad alta pericolosità - ma incapace di spendere i fondi dedicati. Replicando all’infinito lo schema di sempre: frammentazione e burocrazia, che producono inconcludenza. E così, tra fondi nazionali ed europei, ci sono 21 miliardi di euro - il calcolo arriva dagli uffici del ministro per la Protezione civile, Nello Musumeci (si veda l’intervista al Sole 24 Ore del 4 febbraio scorso) - stanziati fino al 2030 per la messa in sicurezza del territorio, sparsi in mille rivoli. Senza controllo e senza regia. Senza neppure contezza di quanto sia stato speso sin qui: la ricognizione, non ancora conclusa, è affidata a un gruppo interministeriale nato dopo l’alluvione di Ischia.
Tanta confusione, pochissime certezze. Come quella che riguarda ItaliaSicura, l’unico tentativo strutturato di mettere ordine nel settore con una struttura di missione a Palazzo Chigi e un piano da 33 miliardi di euro destinati a 10.361 interventi in tutte le Regioni. «Ma il 92% delle opere pervenute era un insieme di soli titoli e di iniziali studi di fattibilità e dava la misura del “caso italiano” e del ritardo pazzesco nelle progettazioni», afferma Erasmo D’Angelis, allora responsabile della struttura. «Con ItaliaSicura abbiamo aperto o riaperto 1.445 cantieri, per un totale di 1,4 miliardi investiti. Tutto verificabile». In totale, scavando nelle pieghe dei fondi non spesi dei singoli ministeri, i Governi Renzi e Gentiloni trovarono 2,3 miliardi, ai quali aggiunsero altri 6 miliardi recuperati da ben tre leggi di bilancio (dal 2016 al 2018), per un totale di 8,2 miliardi di euro. Dispersi.
Il Governo Conte 1 ha deciso di smantellare tutto, rispedendo indietro alla Protezione civile, ai ministeri e a Invitalia i 16 tecnici della squadra e varando nel 2019 un nuovo programma, ProteggItalia, da 10,8 miliardi per il triennio 2019-2021 poi lievitato a 14,3 miliardi fino al 2030. Rimasto, però, sostanzialmente sulla carta. La Corte dei conti negli ultimi anni ha rilevato le «numerose criticità», «rimaste insolute», sia nei meccanismi di funzionamento e di monitoraggio degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico sia nella «governance delle strutture», continuamente modificata per rincorrere le emergenze. La diagnosi è impietosa: «inefficacia delle misure adottate», testimoniata «dalla scarsa capacità di spesa e di realizzazione dei progetti e dalla natura prevalentemente emergenziale degli interventi».
Non sembra fare eccezione nemmeno la corsia preferenziale aperta con il Pnrr che destina agli interventi anti-dissesto appena 2,49 miliardi di euro (Missione 2, Componente 4, Investimento 2.1, con 1,29 miliardi al ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica e 1,2 miliardi alla Protezione civile), oltre a 6 miliardi assegnati ai Comuni con le più disparate finalità, compresa l’illuminazione pubblica. Secondo i magistrati contabili, che hanno fotografato lo stato dell’arte nella delibera n. 14/2023, la zavorra burocratica «distoglie» le amministrazioni «dall’obiettivo finale della messa in sicurezza del territorio e della popolazione» e le risorse stanziate sono sottodimensionate rispetto ai fabbisogni.
La Corte dei conti cita il rapporto Ispra 2020 relativo al progetto Rendis (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo), che ha censito in vent’anni 6.063 interventi del ministero dell'Ambiente per 6,59 miliardi, a fronte di 7.811 proposte presentate dalle Regioni per un totale di 26,5 miliardi. In un altro documento diffuso due giorni fa, l’Istituto segnala l’Emilia Romagna come la più esposta al rischio alluvione, con le province di Ravenna e Ferrara in cima alla classifica. Nel mirino, «la complessa ed estesa rete di collettori di bonifica e corsi d’acqua minori che si sviluppano su ampie aree morfologicamente depresse, di tratti arginati spesso lungo alvei stretti e pensili, di regimazioni e rettifiche in specie nei tratti di pianura». Peraltro il 14,6% del territorio della Regione è classificato ad alta pericolosità per le frane: vi risiedono 86.639 persone. E sono a rischio oltre 39.660 famiglie, 53.013 edifici, 6.768 imprese e 1.097 beni culturali.
«Non si tratta semplicemente di rafforzare gli argini dei fiumi», dice Barbara Lastoria, tra i ricercatori Ispra che firmano l’analisi. «Il problema è molto più ampio. È necessario definire e attuare una strategia di gestione del territorio di più ampio respiro. Senza un approccio integrato di tutti i processi continueremo con interventi spot che non risolvono la situazione».
Proprio l’approccio integrato è l’obiettivo del gruppo interministeriale presieduto da Musumeci e voluto dalla premier Giorgia Meloni all’indomani della tragedia di Ischia. Quella commissione, che si è riunita con il contagocce, è composta dai rappresentanti di 7 ministeri (oltre a Protezione civile, anche Interno, Economia, Agricoltura, Ambiente, Infrastrutture e Sud), Regioni, Province e Comuni, e dovrebbe contribuire alla stesura dei due disegni di legge anticipati da Musumeci a febbraio su queste pagine e ora in fase di accelerazione: il primo per rafforzare la prevenzione del dissesto con un pacchetto di semplificazioni per Via, Vas ed espropriazioni e l’istituzione di una cabina di regia a Palazzo Chigi con funzioni di coordinamento e monitoraggio, ma anche poteri sostitutivi e sanzionatori; il secondo, su cui ieri si è tenuta una riunione tra Musumeci e il commissario Guido Castelli, per dotare il Paese di un «modello unico» della ricostruzione. Nel frattempo, c’è di nuovo l’emergenza da affrontare, al centro di un secondo vertice con i ministri Luca Ciriani, Francesco Lollobrigida, Marina Calderone e il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, in vista del Consiglio dei ministri di martedì, che stanzierà altri 20 milioni in aggiunta ai 10 già deliberati il 4 maggio dopo la prima ondata di maltempo.
Ancora una volta, è il dramma a dettare l’agenda. In attesa di un vero programma nazionale che sappia finalmente indicare una direzione di marcia.