Il delegato del sindaco non ha diritto all'avvicinamento lavorativo
Questo status non è equiparabile alla qualità di amministratore locale
L'ordinamento degli enti locali prevede che gli amministratori lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato elettorale. La loro richiesta di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità. Ma tutto ciò - secondo il Consiglio di Stato (sentenza n. 5450/2023) - non costituisce diritti soggettivi assoluti e inviolabili sempre e comunque da riconoscere al dipendente interessato. Nella vicenda all'epoca dei fatti un agente scelto della Polizia di Stato già in servizio presso la Questura di Milano, era stato trasferito a domanda presso il Commissariato di Gallipoli, essendo risultato eletto consigliere comunale nel Comune della zona. Rieletto per la successiva tornata elettorale, l'interessato era rimasto in servizio in Puglia quando - cessato il suo mandato - l'amministrazione dell'Interno ne aveva disposto il rientro presso la sede di Milano. L'agente aveva quindi fatto rilevare di essere stato confermato delegato del Sindaco in seno ad un consorzio interprovinciale, perciò insistendo per la conferma della sede pugliese ritenendo di averne ancora il diritto in funzione delle necessità correlate all'espletamento del mandato conferitogli dal suo primo cittadino. Ma l'amministrazione ne aveva invece disposto il (ri)trasferimento nella sede di provenienza.
Per il massimo giudice amministrativo è corretto l'assunto dell'amministrazione datrice di lavoro secondo cui lo status di mero delegato del sindaco non è equiparabile alla qualità di amministratore locale.
Va infatti evidenziato che la disciplina Tuel in argomento non configura affatto un vero e proprio diritto soggettivo del dipendente pubblico al trasferimento nella sede di svolgimento del proprio mandato presso un ente locale. La normativa prevede infatti che l'assegnazione del funzionario pubblico da parte dell'amministrazione avvenga nel rispetto del generale principio del bilanciamento degli interessi contrapposti. In altre parole assicurando sia il rispetto dei diritti costituzionali per cui chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha il diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e a conservare il posto di lavoro; sia le esigenze economiche ed organizzative del datore di lavoro. Esigenze che devono essere concretamente valutate con riguardo alla natura pubblica del servizio espletato. Ciò, a ben vedere, anche al fine di evitare che un sempre più ricorrente ricorso all'istituto in questione finisca per risolversi in un vero e proprio abuso del diritto; piegando una norma di civiltà ad esigenze personalistiche, in danno delle legittime aspettative di avvicinamento ai luoghi di origine di coloro i quali, pur essendo in carriera da maggior tempo, finiscono per essere di fatto illegittimamente penalizzati dall'accoglimento delle istanze di un sempre maggior numero di colleghi.